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C’è poco da termovalorizzare con i rifiuti

Ogni impianto di termodistruzione si compone di cinque parti principali: accumulo e stoccaggio dei rifiuti in entrata, combustione, post-combustione (seconda camera di combustione), raffreddamento fumi e trattamento degli stessi. L’impianto viene alimentato con tre tipologie di rifiuto: indifferenziato, frazione secca (dopo aver superato una fase di vagliatura meccanica) e CDR (combustibile da rifiuto). Circa un terzo in peso dei rifiuti che entrano in un inceneritore si ritrova alla fine del ciclo in forma di ceneri. Come insegna la fisica però, ‘nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma’: la parte della materia quindi che non si ritrova in uscita viene emessa nel corso del processo sotto forma gassosa o viene trasformata in energia. Un inceneritore, nel suo ciclo, produce numerose sostanze inquinanti, molte ancora oggi sconosciute. La formazione di queste sostanze, emesse in forma solida e gassosa, dipende da diversi fattori quali: la tipologia del rifiuto trattato (composizione chimica), le condizioni di combustione e quelle in cui operano i sistemi di abbattimento degli inquinanti. Le sostanze chimiche emesse dal camino di un inceneritore comprendono: composti organici del cloro (diossine, furani, PCB), IPA (idrocarburi policiclici aromatici), VOC (composti organici volatili), elementi in traccia (piombo, cadmio e mercurio), acido cloridrico, ossidi di azoto, ossidi di zolfo ed ossidi di carbonio. Molti di questi composti si disperdono in atmosfera insieme alle polveri, alle ceneri di fondo (che si depositano alla base della caldaia durante il processo di combustione) e alle ceneri volanti (perché non trattenute dai sistemi di filtraggio aereo).

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