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Ho smesso di informarmi: la mia dieta informativa – Novembre 2015

L’affermazione contenuta nel titolo potrebbe sembrare eccessiva, ma non si allontana più di tanto dalla realtà dei fatti: ho completamente perso l’abitudine di abbeverarmi a qualsiasi flusso informativo, generalista e non solo. Ciò che rimane attivo – non sono impazzito del tutto – è un flusso limitato di aggiornamento professionale, a cui aggiungo gli approfondimenti necessari per fare ricerche, sviluppare idee, farmi una opinione quando necessario.

Una nuova dieta mediatica

In pratica cosa ho tagliato fuori dal regime dietetico informativo quotidiano? Oggi non accendo la televisione per vedere telegiornali, programmi giornalistici di qualsiasi tipo, informazione continua, né in italiano, né in altre lingue. Non accendo la radio, né in auto, né in altri momenti della giornata. Non vado in edicola, non leggo informazione stampata su carta, né quotidiana, né periodica.

Non consulto giornali italiani online, non li seguo su Twitter, né su Facebook: raramente mi imbatto in qualche link su Twitter, che clicco molto più raramente. Gli unici link che posso seguire, verso giornali italiani, possono venire dalla rassegna mattutina di Good Morning Italia o da una ricerca su Google, quando vedo un tema di tendenza che attrae la mia curiosità. Seguo più link verso giornali online stranieri perché mi arrivano da altri canali di aggregazione o di sintesi tematica, ma si tratta per lo più di fonti professionali e non generaliste.

Tagliare, tagliare, tagliare

4 ore alla settimana, libro letto anni fa, è stato illuminante. Quanto tempo possiamo risparmiare tagliando l’informazione inutile? Se ci pensiamo un attimo, l’informazione veramente utile trasmessa dai media generalisti, è veramente scarsa. Come dice Tim Ferriss, se una notizia ci riguarda veramente, probabilmente un amico ce la segnalerà o, nella peggiore delle ipotesi, potremmo farcela raccontare davanti a un caffé.

Ho eliminato quindi tutta l’informazione inutile o fine a se stessa, ancora più di prima. Niente cronaca dal palazzo: se viene presentata la finanziaria vado alle slide del Governo su Slideshare e non al giornale che le presenta, il giorno dopo. Niente cronaca nera: non ho bisogno di intrattenermi o distrarmi con notizie su omicidi, violenze, tradimenti, drammi familiari, ordinaria follia, incidenti stradali, catastrofi naturali. Seguo l’informazione economica, la politica internazionale, oltre all’informazione per l’aggiornamento professionale, in tempi o modi limitati ed essenziali.

Il tempo dedicato all’intrattenimento, filtrato adeguatamente, non segue logiche di palinsesto e punta alla fiction di qualità (cinema, libri, serie tv) o alla saggistica che racconta e analizza e non guarda dal buco della serratura per soddisfare istinti primordiali. Se voglio aver paura guardo un film horror e non la cronaca nera dei giornali locali; se voglio analizzare temi politici e sociali non guardo talk show urlati ma un film o un documentario ben realizzato.

Il tramonto dell’informazione personalizzata

Da grande promotore delle app di news personalizzate, in cui scegli i temi che ti interessano, valuti le notizie che ti vengono proposte e ottieni un flusso ricco di segnale e povero di rumore, oggi ho smesso quasi di usarle. Non rinnego il valore che se ne può estrarre e sul piano professionale restano una manna. Ciò che mi ha spinto a limitarne l’uso è averne fatto a meno e non sentirne oggi più il bisogno. Mi sono reso conto che molto del tempo passato a navigare alla ricerca di notizie, nei tempi morti della giornata e non solo, è spesso un modo per non sentirsi annoiati. Un passatempo e una abitudine più che un memento per imparare qualcosa di utile.

Non voglio dire che lo stallo in cui si trova Flipboard mi dia ragione, ma forse non sono l’unico ad aver ridotto la presa. Più probabile certamente che l’informazione personalizzata, per la massa passi oggi per Facebook, mixata all’intrattenimento dei fatti della vita delle persone del proprio network. Un ritorno al passato, in cui i media di massa non esistevano e l’informazione era più il passaparola del villaggio o del vicinato più che le notizie dal mondo o dall’Italia. Spesso abbiamo l’illusione di sentirci informato o di avere le chiavi per cambiare in meglio la nostra vita, giusto un attimo prima di essere attratti dal titolo seguente e dalla lettura del prossimo contenuto di flusso. Peccato che alla fine della giornata ciò che rimane nel setaccio di questo flusso sia ben poca cosa, se non l’illusione di essere informati.

Continuo a usare Feedly, con un numero limitato di feed RSS che producono meno di 20 unità di contenuto al giorno e che leggo quando voglio, se voglio. La centralità dei feed RSS ormai è il passato. Sono abbonato a diverse newsletter, che leggo con lo stesso principio. Per non interferire con l’altra posta, non solo l’ho filtrata, ma l’ho spostata su una diversa casella, che consulto quando voglio avere nuovi stimoli.

L’era dell’eremitaggio digitale

Questo allontamento dall’informazione non si è trasformato in tempo sui social network, anzi. Considerando che con i social network ci lavoro, sommando il tempo di pc e smartphone, nel 2015 ho speso 360 ore su questi siti, pari a circa il 16% del tempo (seconda categoria, dopo la comunicazione) passato su computer e telefono. Il tempo dedicato all’informazione si ferma a 130 ore, circa un terzo dei social network e il 6% complessivo.

Se dovessi escludere il tempo passato sui social network per ragioni professionali, sul piano personale rimarrebbe ben poco. Togli Goodreads e Letterboxd, siti con i quali gestisco libri letti e film visti, ed è facile notare come anche l’abitudine di consultare Facebook, Twitter, LinkedIn e Google+ per pubblicare e condividere contenuti si sia molto ridimensionata nel tempo.

Meno informato, più arretrato e infelice?

Considerando l’assenza di questo (presunto) patrimonio informativo, quali gli effetti sul piano sociale, relazionale, professionale? In tutta sincerità credo di aver solo guadagnato da questo cambiamento. Non si è trattato di un esperimento, da attivare e disattivare, ma di un cambio di stile di vita senza scadenza. Non sento alcuna necessità nell’accendere la televisione appena tornato a casa, né di accendere la radio appena salito in auto, né di andare in edicola per saperne di più su un argomento, né di consultare le prime pagine dei giornali la mattina, né di salutare gli amici sui social network prima di andare a letto la sera.

Le abitudini nuove comprendono più tempo per le relazioni, per l’intrattenimento di qualità, per me stesso. Più tempo per viaggiare, per imparare cose nuove, per liberare parte del cervello da bisogni indotti. Non l’ho scritto prima, ma la liberazione dall’informazione inutile (in senso lato) è andata di pari passo con la liberazione dalla pressione pubblicitaria: niente spot televisivi martellanti, niente jingle alla radio, niente carta inutile da sfogliare, niente banner sui siti nella navigazione. L’unica poca pubblicità che vedo è quella nei 10 minuti che precedono una proiezione al cinema o in cui mi imbatto per la strada o sul punto vendita. Non puoi immaginare il potere di influenza che la pubblicità ha, anche come occupazione dei tuoi pensieri, fino a quando non cominci a sentire lo spazio mentale che si libera.

Non voglio dire che oggi abbia gli stessi stimoli intellettuali che avevo prima, perché non sarebbe vero. Si è ridotta la quantità ed è salita la qualità media, non dell’informazione, ma della mia esperienza umana. Meno mediata e più diretta (tre mesi passati all’estero, in oltre 10 paesi, qualcosa vogliono dire). Un percorso in decisa controtendenza, che mi tiene fuori da mode, mainstream e socialità di massa, ma di cui non sento proprio la mancanza. A guardare indietro si nota il cambiamento.

Published in Vivi meglio

2 Comments

  1. Articolo interessante. Come ricercatore vivo tra l’eccitazione di scoprire cose nuove e interessanti e la difficoltà di gestire le cose che già conosco. Il risultato finale è uno stress indotto dall’impossibilità di stare al passo, che spesso si traduce in procrastinare. Ci sono troppe cose da sapere che cambiano troppo velocemente. Rinunciare a qualcosa è inevitabile, ma ancora non sono riuscito a capire come operare questa scelta.

  2. Le esperienze di vita finiscono per influenzare inevitabilmente le nostre abitudini: sai che un po’ ti invidio?

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