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Olio di palma: fa male alla salute? È cancerogeno? Meglio senza olio di palma? Tutte le risposte

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L’esperienza in Malesia* mi ha sensibilizzato sul tema olio di palma e da vegetariano che ci tiene alla propria salute, ho voluto andare alle fonti e verificare cosa c’è di vero, sul piano scientifico, per capire se “senza olio di palma” è veramente un vantaggio per la salute. Per far questo ho attinto anche a ricerche internazionali e nazionali, compreso l’Istituto Mario Negri e l’Istituto Superiore di Sanità che ha redatto un parere per il Ministero della Salute. Al termine una mia opinione, argomentata, sulla psicosi da olio di palma che si è diffusa in Italia e in nessuna altra parte del mondo. Sul vero tema, olio di palma e sostenibilità, ho già scritto.

Prima di tutto sarebbe interessante interrogarci sul perché gli Italiani siano gli unici in Europa (e nel mondo, oggi) a preoccuparsi della relazione tra olio di palma e salute. Non siamo certamente il paese più sensibile ai temi di salute e alimentazione, considerando anche soltanto che abbiamo i bambini più obesi in Europa, che non hanno quindi uno stile di vita sano.

La ricerca di olio di palma in italiano, confrontata con la stessa espressione in inglese e in francese, mostra come il vero interesse sul tema sia in Italia, in Francia e in Nigeria. In Nigeria sull’olio per cucinare (red oil) e sulla produzione, in Francia in relazione alla tassa proposta (e bocciata) sulla Nutella e in Italia per l’ondata di prodotti senza olio di palma che hanno invaso il mercato. A vedere il trend, è evidente come il tutto sia montato poco prima e sia stato amplificato dalla trasmissione Report, per poi riprendere nei mesi scorsi, con la pubblicità dei prodotti senza olio di palma.

I grassi saturi e l’olio di palma

La motivazione principale, oltre alla questione degli oranghi, per cui un movimento politico populista (in Toscana è già realtà, nelle strutture pubbliche) e varie grandi aziende italiane sono intervenuti sul tema, dal un lato chiedendo la messa al bando dei prodotti, dall’altro sostituendo l’olio di palma con altri grassi, è l‘alta componente di acidi grassi saturi. I grassi saturi sono collegati alle malattie del sistema cardiovascolare. Facciamo bene quindi a ridurre il consumo di grassi saturi?

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Parlando con il MPOB, l’agenzia governativa che promuove lo sviluppo dell’industria dell’olio di palma in Malesia, mi è stata segnalata una ricerca del Credit Suisse Research Institute (articolo). Questa metaricerca, che ha analizzato 400 studi scientifici, sostiene che non ci siano reali evidenze scientifiche dell’associazione tra acidi grassi, colesterolo e malattie cardiovascolari. Personalmente ho maggiore fiducia nel Dr. Michael  Greger (Sei quel che mangi, libro da non perdere!!!) e nel suo team di analisi su nutritionfacts.org.  Sui grassi saturi, almeno negli USA, l’industria del latte spinge per minimizzare l’impatto delle ricerche che invitano a un minore consumo di grassi saturi.

Questa ultima informazione mi ha spinto a fare una semplice ricerca su Google: quanto grasso saturo c’è nel burro e quanto nell’olio di palma? Burro batte olio di palma 51 grammi contro 49 grammi. Per andare oltre, mi sono poi chiesto: quanto incide l’olio di palma nella dieta quotidiana per i grassi saturi in Italia? La stessa domanda se l’è posta l’Istituto Superiore di Sanità che ha calcolato quanto grasso saturo imputabile all’olio di palma è presente nei prodotti industriali e quanti ne mangiamo. Il risultato? Dalla nostra dieta, popolazione adulta, assumiamo in media 22,44 grammi di grassi saturi al giorno, inclusi in: carne, burro, formaggi, olio di oliva, latte uova. I formaggi da soli toccano i 9 grammi. Dolci, biscotti, crackers e merendine, con olio di palma, aggiungono 4,77 grammi. L’incidenza è del 17%. Sui bambini da 3 a 10 anni, l’incidenza sale al 28%.

La questione, se posta in modo intellettualmente onesto, è: dove dovremmo cominciare a intervenire per ridurre il consumo medio giornaliero di grassi saturi? Chi si è fatto portabandiera del senza olio di palma, porta anche la bandiera del senza burro, senza formaggio, senza carne? Un tiepido movimento del “senza carne” c’è e la reazione dell’industria è stata immediata. Il movimento contro i latticini non c’è (o è tiepidissimo) e lo dimostra il fatto che, a differenza degli USA, l’industria non ha reagito in alcun  modo per difendere i propri interessi.

Non è un caso se l’AIRC sostenga che non serve a nulla demonizzare l’olio di palma, puntando il dito su tutti i grassi saturi. La Dott. Elena Fattore, Istituto Mario Negri, ha pubblicato uno studio (metaricerca) sull’American Journal of Clinical Nutrition. Commentando la ricerca, La Dott. fattore dice:

E’ emerso che il profilo lipidico non suggeriva né un bilancio positivo né negativo perché, ad ogni sostituzione, alcuni parametri peggioravano ma altri miglioravano. L’unica sostituzione che secondo noi doveva far ritenere un peggioramento della qualità alimentare era quella con gli acidi grassi transidrogenati. Dunque, abbiamo concluso che non vedevamo prova scientifica della negatività dell’olio di palma a livello nutrizionale.

Dunque l’olio di palma “fa male” oppure no?

Può essere dannosa quanto gli altri grassi, se assunto in quantità eccessive, perché comporta aumento di colesterolo. Ma non fa più male di altri grassi che sono nella nostra dieta, come il burro. Anche l’olio d’oliva contiene gli stessi acidi grassi, anche se in percentuali diverse. Occorre insomma fare attenzione nel dire che un olio è migliore di un altro

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L’olio di palma è cancerogeno?

Il dito puntato contro l’olio di palma ha toccato nuovi picchi con la pubblicazione di uno studio da parte di EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, sulla presenza di sostanze cancerogene, “contaminanti da processo“, negli oli vegetali. Lo studio ha trovato due contaminanti, 3-MCPD e 2-MCPD, e ne ha attribuito la presenza a una lavorazione a temperature troppo elevate. Sulla base di questo studio, Coop, di cui sono cliente da anni, ha deciso di non usare più l’olio di palma, con la seguente motivazione:

Lo scorso maggio, applicando il principio di precauzione, Coop è stata la prima catena distributiva a scegliere di eliminare il palma dai suoi prodotti a marchio. Alla base di questa scelta la pubblicazione del dossier EFSA (European Food Safety Authority) su alcuni contaminanti di processo: 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e glicidil esteri degli acidi grassi (GE), che si formano ad alte temperature principalmente negli oli vegetali.

Eppure, l’Istituto Superiore di Sanità scrive, nel parere per il Ministero della Salute:

Attualmente non risultano disponibili studi prospettici specificamente disegnati a definire la possibile associazione tra consumo di olio di palma e insorgenza di cancro nell’uomo.

Se la questione è relativa alla lavorazione (e alla temperatura) il problema cancro non esiste. Una industria seria e di qualità dovrebbe sempre controllare i propri fornitori e avere garanzie che la materia prima venga trattata in modo corretto. Il punto non è quindi fare senza olio di palma, ma lavorarlo bene. Coop, insieme a chi ha deciso di mettersi alla finestra, rinuncia a controllare i propri fornitori, preferendo mettere al bando un ingrediente che, preso di per se, non ha alcun effetto cancerogeno reale. A questo punto mi chiedo: Coop e gli altri “senza olio di palma” stanno mettendo la stessa energia nel setacciare tutti gli ingredienti e tutti gli studi scientifici, applicando lo stesso principio di precauzione a tutti i prodotti e a tutte le lavorazioni?

Non mi risulta che questo processo sia stato messo in atto, eppure di ingredienti con rischi simili, se non superiori, ce ne sono in grande quantità. Per non parlare dei sostituti diretti dell’olio di palma, per i quali non viene dichiarato né l’impatto ambientale, né la provenienza, né l’assenza di potenziali cancerogeni: lo studio EFSA parla di oli vegetali e non solo dell’olio di palma.

Se, dal punto di vista del consumatore, la questione è la sfiducia nei confronti dell’industria alimentare in quanto tale, chi ci assicura che gli altri ingredienti, compresi i sostituti dell’olio di palma, siano lavorati senza produrre altre sostanze cancerogene o pericolose per la salute? Considerando l’approccio verso l’olio di palma e la superficialità con cui è stato gestito, non mi fido più di chi oggi si è convertito al “senza olio di palma” e ho personalmente deciso che non comprerò i nuovi prodotti “senza olio di palma”.

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L’olio di palma e il latte materno

L’Istituto Superiore di Sanità, su olio di palma e latte materno, scrive nel suo parere per il Ministero della Salute (il grassetto è mio):

Gli acidi grassi saturi sono normali costituenti della frazione grassa degli alimenti (Tab. 3-8), tuttavia l’organismo ne opera anche una limitata sintesi endogena. La loro assunzione attraverso la dieta è comunque necessaria anche per permettere un’adeguata crescita, soprattutto fino a due anni di vita. […] La necessità di acidi grassi saturi varia in funzione dell’ età ed è maggiore durante i primi anni di vita quando i processi metabolici mediati da questa classe di nutrienti sono maggiormente attivi; a conferma di ciò si osserva che il 40% degli acidi grassi totali del latte materno sono saturi e di questi ultimi il 50% è rappresentato da acido palmitico.

Che senso hanno quindi i titoli allarmistici di alcune (pseudo)testate giornalistiche, online e cartacee, che segnalano con allarme la presenza di olio di palma nel latte in polvere per neonati? Se naturalmente, nel latte materno, c’è acido palmitico, perché questo non dovrebbe essere presente anche nel latte in polvere che lo simula?

Neanche a dirlo, c’è una petizione per bandire l’olio di palma dal latte in polvere per legge e c’è già qualche azienda che, sull’onda della psicosi collettiva, si è affrettata ad annunciare che non ne farà più uso. Se non è isteria questa, non so cosa si possa definire tale.

La psicosi collettiva del “senza olio di palma”

Il mondo dell’informazione ha le proprie responsabilità. Milena Gabbanelli, considerata una degli esempi di giornalismo investigativo di qualità in Italia, nella trasmissione di Report del maggio 2015, concludeva:

[…] cioè pochi mesi fa – io ammetto di averlo scoperto nel corso di questo pezzo – e anche da quando è obbligatorio scrivere sull’etichetta “olio di palma”, che è un grasso saturo, e che vuol dire colesterolo, l’industria sta un po’ correggendo il tiro, […]

Il messaggio semplice, trasmesso ai telespettatori, è stato: stai lontano dall’olio di palma perché alza il colesterolo. Nessun ragionamento sulle quantità, nessun altro su come sostituirlo e con cosa. Il burro non ha grassi saturi? Se questa è informazione di qualità…

Guarda caso, il primo picco di ricerche su Google per “olio di palma” avviene proprio nel maggio 2015, nonostante la questione olio di palma venga associata al tema sostenibilità da anni, almeno dal video shock di Greenpeace del marzo 2010. In Italia dormono tutti fino a poco prima della puntata di Report. Questi dati dimostrano come gli italiani non siano stati affatti sensibili alla questione ambientale e come siano stati vittime di disinformazione, soprattutto in rete. L’industria che usa l’olio di palma ha prima sottovalutato il fenomeno, intervenendo con campagne di comunicazione non efficaci, non partecipando alle conversazioni in rete, limitandosi a pagine di pubblicità sui giornali e siti internet statici. Come per altre tesi complottiste (la campagna contro i vaccini è un esempio), un mix di disinformazione e passaparola può essere fatale.

Paradossalmente, solo l’esplosione di messaggi pubblicitari ed etichette “senza olio di palma” ha creato una risposta dei più curiosi, che hanno cominciato a informarsi, andando alle fonti, rilanciando un messaggio equilibrato e onesto sulla questione.

L’industria malese dell’olio di palma non è stata capace di attivarsi in tempo, tanto che solo ora rilancia un proprio blog di risposta diretta alla disinformazione, Italia inclusa. C’è ancora tanto da fare però. Il blog in italiano non è aggiornato da giugno 2016.

Negli ultimi mesi c’è stata una reazione, con articoli sul Foglio, Wired, prima ancora del convegno organizzato da Ferrero a fine ottobre (a cui non ho potuto partecipare), ampiamente ripreso da tutte le principali testate.

Conclusioni

Da persona (vegetariana) attenta a cosa mangia, suggerisco di avere un approccio critico verso l’alimentazione, senza cadere vittima di disinformazione. Cercare fonti autorevoli e non limitarsi ai primi risultati dei motori di ricerca. Cercare pareri diversi e metterli a confronto. Non credere a tutto semplicemente perché “l’ha detto la televisione”, ma spendere parte del proprio tempo per andare alle fonti originali delle notizie. Con internet questo è possibile. Basta investire un po’ di energia e applicare un po’ di buon senso, diffidando dagli slogan semplici e dai luoghi comuni.

Il post non contiene link a fonti di informazione palesemente faziose nel riportare notizie sul tema. Basta fare una ricerca per trovarne numerose. Non ci sono neanche link a campagne di forze politiche e di movimenti d’opinione con petizioni contro l’olio di palma perché non voglio alimentare la disinformazione.

Sullo stessa tema ho scritto:

Olio di palma e sostenibilità: si può tutelare l’orango consentendo a Malesia e Indonesia di svilupparsi?

Olio di palma: dal frutto all’olio, un viaggio alla scoperta della filiera di produzione

Olio di palma: quello che nessuno ti ha raccontato su salute, sostenibilità e filiera produttiva

*DisclaimerCome sempre, amo la trasparenza e non nascondo potenziali conflitti d’interesse. Ferrero mi ha invitato in Malesia coprendo tutte le spese, dal viaggio alla permanenza a Kuala Lumpur. Ferrero mi ha dato accesso al suo network di relazioni, compresi i suoi fornitori di olio di palma sostenibile. Come ovvio per una operazione di relazioni pubbliche, non ho ricevuto alcun compenso per il tempo del viaggio, né per quanto ho scritto su Twitter, né qui, né altrove. Allo stesso tempo ho accettato perché Ferrero non mi ha posto alcun vincolo.

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Published in Vivi meglio