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Dieta informativa Ed. Maggio 2019

L’evoluzione personale verso una maggiore consapevolezza nell’uso della tecnologia (e dei media) segna un nuovo passaggio chiave che voglio condividere qui.

Pur con una selezione di contenuti verso la qualità, sono passato da un elevato consumo televisivo (a colpi di programmi registrati in tarda serata) a un elevato consumo di internet seduto alla scrivania. Dal consumo di film noleggiati in VHS a un alto consumo di film e serie tv scaricati o in streaming. Dalla visione di programmi di informazione politica e alla lettura dei giornali, al consumo di notizie digitali e feed RSS dalla mattina alla sera, sempre immerso nel flusso. Dall’uso intensivo di Twitter, Friendfeed, Facebook, al ritorno feed RSS e newsletter come fonti di informazioni filtrate, Sono passato dal computer allo smartphone, anche se non in maniera esclusiva. Sono passato dall’essere un blogger molto attivo, all’essere attivo quasi soltanto su Friendfeed e Facebook prima e Twitter poi, fino a tornare a essere esclusivamente un blogger attivo, con rimandi automatici su Twitter.

In tutto questo percorso, in cui le fonti di informazioni e i canali di condivisione sono stati via via analizzati, messi in discussione, valutati, modificati, ridotti, sostituiti, rivalutati, ciò che non ho mai veramente messo in dubbio è stato il consumo di media in quanto tale. Da bravo news junkie, sono passato da giornali di carta e CNN via satellite, a Feedly più Twitter più YouTube. Ciò che è migliorato nel tempo è il valore estratto dai contenuti fruiti online, più pluralismo delle fonti, meno rumore e meno distrazioni (basta togliere i flussi di Facebook e Instagram e il rumore si azzera quasi immediatamente). L’insoddisfazione, latente per lo più, è rimasta.

Leggendo un articolo su n-1, insieme ad alcuni passaggi di Digital minimalism, ho avuto l’illuminazione. Il problema, che nessuno mi aveva mai fatto notare, stava nel tempo complessivo passato davanti allo schermo (televisione, computer, tablet, smartphone). Nel tempo ha cambiato forma, mix, contenuti fruiti, ma non è diminuito più di tanto, soprattutto nei momenti critici, in cui il mio stato d’animo non era dei migliori. Non ho dati a supporto, ma ripensando al comportamento degli ultimi due anni, non ho dubbi che questo sia stato il modello. Quando mia nonna era molto malata e stava per morire, ciò che potevo fare di sera era giusto guardare un film in televisione, seppur scelto consapevolmente. Nei momento in cui ho cercato di ridurre la dipendenza da smartphone, gioco forza mi sono rifugiato davanti al computer e davanti alla televisione. Il tempo totale è forse sceso, ma non in maniera significativa.

Certo, non sono così duro con me stesso perché intuitivamente ho applicato dei cambiamenti che lo stesso Newport suggerisce nel suo libro per andare verso un uso minimalista della tecnologia: guardare la tv solo con amici, usare i sistemi di messaggistica per organizzare momenti conviviali di persona e non semplicemente chattare online, tagliare le app social dallo smartphone per ridurne l’uso complessivo, non usare lo smartphone a letto e così via.

L’articolo di n+1 racconta e prende in giro un consumo compulsivo di podcast. Oggettivamente la persona descritto è il Luca di due estati fa, in cui non c’era momento utile della giornata in cui fare a meno di podcast: camminando al mare, cucinando, facendo i lavori di casa, in auto, in treno, riordinando casa. Ascoltavo tanti podcast, intelligenti, divertenti, originali, illuminanti. Poi a un certo momento ho smesso del tutto. Mi sono reso conto che stavo esagerando. La bulimia di news junkie era tornata, questa volta con un mezzo che poteva riempire i momenti in cui le mani erano impegnate. C’è chi fa lo stesso con la tv sempre accesa in casa o con altri mezzi. Il risultato finale non è tanto diverso.

Ho capito (e parlo sempre per me) che il consumo elevato di media (social o no, digitali, audio o video) non si traduceva in un aumento della qualità della vita o del benessere psicofisico o in un miglioramento delle relazioni sociali. Oltre un certo limite, che avevo superato abbondantemente, le ore in più passate davanti allo schermo (o con le orecchie impegnate, poco cambia) erano (e lo sono ancora, in certi momenti e stati d’animo) un modo per non pensare, per evadere, per annebbiare la mente, per rimandare il dover affrontare altri problemi.

L’obiezione che qualche lettore magnanimo potrebbe fare a questo punto è: “vero, Luca, ma il tempo che tu passi a consumare media ha un valore che neanche si può comparare con chi lascia la tv accesa e guarda qualsiasi cosa venga trasmesso o che scorre compulsivamente il pollice sullo smartphone scorrendo il flusso infinito di Facebook, Twitter, Instagram, Snapchat o che passa sere e notti a guardare, una dietro l’altra, infinite puntate di infinite serie tv, invece di dormire di più”. Vero, ma è anche vero che passare gran parte del tempo libero (o del tempo in cui siamo svegli, se ci mettiamo dentro anche un lavoro che comprende l’uso di un computer/smartphone) davanti a uno schermo non è vita, ma il surrogato di una vita. Tutto poi sarebbe anche ammissibile e accettabile, se l’effetto finale fosse una vita felice, realizzata e fonte di soddisfazioni, ma così non è. Non per me almeno.

Per quanto ci possano essere migliaia di contenuti (sotto forma di podcast audio, video su YouTube, long form pubblicati online da giornali e magazine e perfino contenuti originali pensati per i social media) di altissimo valore, su misura per soddisfare i nostri interessi personali e le nostre passioni, sono contenuti in larghissima parte consumati passivamente e, forse, senza valore poche ore o pochi giorni dopo i quali li abbiamo consumati.

Quale la risposta? La mia risposta è ridurre notevolmente il consumo complessivo di media e, in definitiva, il tempo passato davanti a uno schermo (screen time per gli anglofili). Da questo escludo l’ebook reader perché, seppur si tratti di uno schermo, a tutti gli effetti ha le caratteristiche di un libro (bianco e nero, monofunzione, senza distrazioni).

Fin qui, il ragionamento è forse articolato in maniera più consapevole, ma non c’è una grande novità. La domanda è cosa fare del tempo che si libera, per far non finire per annoiarsi e ricadere nel tunnel? Meditare, riflettere sono cosa buona e giusta, ma non possono riempire ore nella giornata di un individuo che non ha deciso di dedicare la propria vita alla contemplazione. Ok i monaci, ma tutti gli altri?

Cal Newport, caso vuole, offre suggerimenti che risuonano con una mia esperienza recente. Newport suggerisce di dedicarsi al lavoro manuale. Costruire qualcosa, impare a svolgere compiti quotidiani, anche avvalendosi di tutorial su YouTube se utile. Nessuno qui è luddista. L’obiettivo è trarre maggior valore dal proprio tempo e soprattutto godere di un benessere psicofisico superiore. Il lavoro manuale a cui ho dedicato diverse ore nelle ultime settimane è stato il giardinaggio. Giardinaggio è un eufemismo che cerca di semplificare un’attività che non è stata di semplice taglio dell’erba e potatura di rami, ma è andata oltre, nella pulizia di un terreno e nello smaltimento di rifiuti di vario genere, ancora in corso a dire il vero.

L’altro lavoro manuale a cui ho dedicato più energia è il cucinare. Un modo di impiegare il tempo liberato dai media, per mangiare in modo più salutare e avere l’occasione di invitare amici a cena. Un circolo virtuoso in cui la riduzione del tempo davanti allo schermo ha prodotto nuove competenze e queste hanno aumentato la qualità e il tempo dedicato a socializzare. L’alternativa precedente era comprare nella GDO un cibo già pronto (e meno salutare) e mangiarlo da solo davanti a uno schermo. Non c’è confronto tra il prima e il dopo.

Una dieta mediatica equilibrata comprende consumo e produzione. Se il consumo viene rdotto, il passo successivo è ridurre la produzione di media, ma questo è l’oggetto di un altro post.

Published in Esperienze