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Microblogging, MicroCamp e Business Week

Spesso si dice che l’Italia (insieme all’Europa) sia indietro di qualche anno rispetto all’adozione della tecnologia e rispetto alle tendenze di Internet. Mi piace notare questa volta come, quasi nelle stesse ore, mentre Business Week andava in edicola con una storia di copertina sull’evoluzione dei blog, con particolare enfasi sul microblogging, a Milano un centinaio di persone hanno passato una giornata a confrontarsi sullo stesso tema al MicroCamp.

Non ci voleva la benedizione di Business Week per capire che il fenomeno Twitter, social media e social network, anche in ambito business, è qui per durare e svilupparsi. La storia di copertina del settimanale economico americano è il segno però di come il giornalismo sta evolvendo, abbracciando questi nuovi strumenti, per fare informazione.

La storia di copertina Beyond Blogs (Oltre i blog) nasce curiosamente da una rilevazione statistica del sito di Business Week: a tre anni dalla pubblicazione l’articolo più letto, ancora oggi, è la storia di copertina sui blog pubblicata appunto nel 2005. Un interesse costante nel tempo, su alti livelli, che ha spinto il settimanale ad aggiornare online l’articolo prima e a tracciare un nuovo scenario oggi, ripartendo da tre anni fa.

Twitter gioca un ruolo fondamentale nell’articolo perché non solo se ne parla diffusamente ma lo stesso Twitter è stato usato dall’autore dell’articolo per raccogliere informazioni ponendo domande alle persone che proprio su Twitter lo seguono. Non è certo il primo giornalista ad aver applicato questo metodo ma senza dubbio è il primo finito sulla copertina di un settimanale con milioni di lettori.

La chiusura del pezzo non ha bisogno di commento:

Even if the bubble bursts—and we predict it will—the power of social
media to transform our businesses and society will only grow.

LEGGI: Business Week oltre i blog, le reazioni.

Published in Media & Social media

2 Comments

  1. No, l’articolo parla di social media e non vi comprende Twitter.

    Il pezzo dice:
    ‘Like Baron’s Twitter crowd writ large, they promise relationships, millions of them. Such media could be worth a fortune’.

    Dopo aver precisato prima:
    ‘An estimated 1 million folks are on the Twitter service now. It’s a small number, but it includes lots of influential voices, especially in tech’.

    Insomma, Twitter va bene per contattare qualche pundit, ma non ha i numeri per i grandi investimenti. Come del resto non li avevano i blog, e il pezzo ripete:

    ‘Could a blogging bubble burst? (…) No. (…) blogging, a free form of publishing, was anything but a highly capitalized industry. (…) How could an industry built largely on free labor and free software develop a bubble, much less burst? It can’t.
    But social media sure can’.

    E i tre social media elencati esplicitamente, subito dopo, come esempi dello scoppio futuro della bolla sono YouTube, MySpace e Facebook. Che, caro Conti, hanno ben poco a che vedere con i blog, il microblogging e Twitter. Ne’ come ascendenze, ne’ come discendenze, ne’ come cugggini di quarto grado.

    Ora, a parte il fatto che gioire ed essere trionfalisti per una frase che preannuncia comunque lo scoppio di una bolla mi pare poco sensato (io del periodo 2001-2002 non ho dei ricordi molto felici), ma almeno leggi bene cosa dice l’articolo e quali sono le bolle che (secondo loro) scoppieranno.

    Ciao, Fabio.

  2. No, l’articolo parla di social media e non vi comprende Twitter.

    Il pezzo dice:
    ‘Like Baron’s Twitter crowd writ large, they promise relationships, millions of them. Such media could be worth a fortune’.

    Dopo aver precisato prima:
    ‘An estimated 1 million folks are on the Twitter service now. It’s a small number, but it includes lots of influential voices, especially in tech’.

    Insomma, Twitter va bene per contattare qualche pundit, ma non ha i numeri per i grandi investimenti. Come del resto non li avevano i blog, e il pezzo ripete:

    ‘Could a blogging bubble burst? (…) No. (…) blogging, a free form of publishing, was anything but a highly capitalized industry. (…) How could an industry built largely on free labor and free software develop a bubble, much less burst? It can’t.
    But social media sure can’.

    E i tre social media elencati esplicitamente, subito dopo, come esempi dello scoppio futuro della bolla sono YouTube, MySpace e Facebook. Che, caro Conti, hanno ben poco a che vedere con i blog, il microblogging e Twitter. Ne’ come ascendenze, ne’ come discendenze, ne’ come cugggini di quarto grado.

    Ora, a parte il fatto che gioire ed essere trionfalisti per una frase che preannuncia comunque lo scoppio di una bolla mi pare poco sensato (io del periodo 2001-2002 non ho dei ricordi molto felici), ma almeno leggi bene cosa dice l’articolo e quali sono le bolle che (secondo loro) scoppieranno.

    Ciao, Fabio.

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