Da qualche mese, complice forse la lettura di qualche libro sul tema, ho cominciato a interrogarmi costantemente sul tempo passato online, sulle relazioni personali mediate dal social web, sulle interazioni attraverso Facebook, sul ritorno in termini relazionali (non monetari) della condivisione di pensieri, momenti quotidiani, foto, link e contenuti di altro genere. Più ci penso e più credo che l’entusiasmo del condividere online necessiti una pausa di riflessione e un ridimensionamento generale.
Se non lavorassi con questi strumenti, che per me sono certo parte delle relazioni personali, intrecciati però con le relazioni professionali, probabilmente mi prenderei un periodo sabbatico di black-out totale. Un po’ per vedere l’effetto su di me (soprattutto senza Facebook), in termini di tempo liberato, di cambio di prospettiva e per vedere l’effetto sugli altri. Quanti se ne accorgerebbero? Quanti mi verrebbero a cercare con canali diretti? Quanti mi seguirebbero in questa pausa? Che fine farebbero i legami deboli? Dovendo lavorarci, il massimo che posso fare ora è ridurre al minimo le condivisioni di carattere personale, privilegiando quelle di carattere professionale, riducendo tempo online sul social web e contenuti condivisi.
La prima vittima in questo percorso è stata Facebook. L’ultima volta che avevo condiviso qui una riflessione su Facebook ero arrivato alla conclusione che non ne potrei fare a meno, pena la perdita di contatti con molti amici lontani o internazionali, che usano Facebook come canale principale di relazione. Consapevole di questo non ho disattivato o cancellato il mio profilo personale, ma l’ho congelato in uno stato di inattivtà permanente. Il profilo è attivo ma non ci sono più aggiornamenti (salvo per occasioni rare), non ci sono quasi più foto e non ci sono quasi più applicazioni che pubblicano automaticamente contenuti. Le condivisioni di link da altri siti e i mi piaci sono azzerati e lo stesso vale per i contenuti in cui sono taggato. Niente informazioni personali di contatto, salvo email e cellulare per gli amici.
Navigando sul profilo vedresti che uno degli ultimi aggiornamento è un avviso che il tempo passato su Facebook è prossimo allo zero e che il canale privilegiato resta la posta elettronica. I messaggi non danno garanzia di lettura in tempi brevi. Ho disabilitato qualsiasi notifica e non accetto inviti di alcun genere. Ho una sensazione di rigetto ogni volta che apro le notizie dalla mia homepage, seppur altamente filtrata, leggendo contenuti e pensieri personali che lasciano il tempo che trovano. Perché raccontare a Facebook e su Facebook ogni momento della giornata? Perché riempire Facebook di foto che non dicono più nulla dopo il momento in cui sono scattate? Perché condividere pensieri altrui, limitandosi nel 99% ad una adesione ideale e non fattiva?
La cosa che mi ha influenzato di più è stata la considerazione, non ricordo più su quale libro (Insieme ma soli? Ossessioni collettive? Non ricordo), che Facebook modifica la nostra identità nella percezione di chi siamo e di come ci vedono gli altri. Un mi piace su un contenuto altrui è un modo per farsi notare, senza impegnarsi. Chi clicca molti mi piace ma commenta poco manifesta una rete di relazioni deboli, a differenza di chi perde tempo per commentare gli stessi contenuti. Quale valore effettivo lasciano nel tempo queste relazioni? Nella mia esperienza personale: poco o nulla. Fa la differenza conoscere ogni momento condiviso dagli amici, nel rafforzare la relazione con loro? Temo di no. Questo tempo può essere meglio investito? credo proprio di sì.
Ci sarebbe poi una considerazione a latere, altrettanto importante, sulla pervasività di Facebook nelle nostre vite. Ho maturato la convinzione che non è una buona cosa demandare a Facebook, giardino chiuso e recintato, buona parte dell’investimento in condivisione di contenuti sul social web, tempo passato online, investimento in relazioni. Non è salutare per il singolo e non lo è per l’insieme dei navigatori. Il potere dato a Facebook, in termini di informazioni e non solo, è troppo grande e può diventare prima o poi una minaccia. Questo potere a Facebook non lo voglio concedere più, pagando il prezzo di essere meno visibile e altri prezzi, certo.
Overblog
Il tema si allarga più in generale a come, cosa e quanto condividere della propria esperienza personale sul web, oggi che mondo offline e mondo online tendono a convergere grazie a smartphone e tablet sempre con noi. Una prima distinzione è da fare sul piano personale/professionale. Consapevole che i due mondi tendono a sovrapporsi sempre più e che la sfera pubblica tende a oscurare la sfera privata, annullandola, sono sempre più convinto che i pubblici interessati alle due sfere non sono gli stessi e che quindi un lifestreaming unico e totale non sia né utile, né auspicabile. Non condivido quindi l’operazione che Robert Scoble, blogger della prima ora, ha fatto con la nuova piattaforma Overblog. Scoble fa oggi convergere su Overblog tutte le sue attività online dai luoghi fisici che segnala su Foursquare (check-in in gergo) alle foto pubblicate su Instagram, dalle condivisioni su Facebook ai messaggi pubblicati su Twitter, senza soluzione di continuità. Pur considerando Robert Scoble un amico, non sono interessato a seguire i suoi spostamenti minuto per minuto, né a vedere tutte le sue foto. La sua scelta di mescolare tutto diventa per me ragione per non seguirlo. Allo stesso tempo anche Scoble si sta ponendo il problema della scalabilità delle relazioni.
Il problema non è nella piattaforma di aggregazione, anzi! Overblog è la soluzione ideale per quelli che vogliono facilitare la vita ai propri amici, aggregando in un unico spazio le proprie attività sul social web. Ho scritto di proposito amici, perché solo un amico può essere interessato a seguire tutte le vostre attività, a prescindere dal contenuto e dalla piattaforma. Vale anche il viceversa, ovviamente, con contenuti professionali (link, video, blog) per un pubblico professionale.
Foursquare
A queste valutazioni se ne aggiunge una terza, rispetto a singole piattaforme specializzate. La prima in bilico è foursquare, applicazioni nata per condividere la propria posizione con gli amici, per favorire relazioni offline, oggi sempre più orientata a diventare una guida ai migliori locali, a partire da quelli segnalati dagli amici. Da utente di lungo corso di Foursquare, piuttosto attivo negli ultimi 12 mesi, comincio a pensare che non valga più la pena investirci tempo. Usando Foursquare, anche in località metroplitane come Milano o Roma, mai mi è capitato di favorire le relazioni con incontri fortuiti, né ho scoperto locali sensazionali consigliati dalla mia rete di 1000 contatti. Ho seguito qualche consiglio, vero, ma senza grandi soddisfazioni. L’aspetto giocoso, con classifica e badge, è senz’altro divertente, ma fine a sé stesso. Può quest’ultimo giustificare l’investimento di energie? No e se ne sono resi conto anche in Foursquare, oggi orientati a diventare una guida alla città. Ci sono, dirà qualcuno, le offerte speciali riservate da alcuni locali agli utenti di Foursquare. Quante volte ho potuto approfittarne? Pochissime. Risparmio quantificabile in una decina di euro, a esser buoni.
Il problema di questo modello è la massa critica. Senza decine di milioni di utenti attivi non c’è valore. A che punto sta Foursquare su questa strada? E’ senz’altro il leader incontrastato nella sua nicchia, ma quanti utenti ha? Circa 20 milioni nel mondo sono nulla. Quanti in Italia? Non è dato sapere. Quanti di questi utenti sono veramente attivi e quanti inseriscono consigli e suggerimenti? Non si sa. Per questo ho deciso di cancellare Foursquare dal mio telefono, meditando di cancellare completamente il mio profilo dalla piattaforma: non amo lasciare informazioni personali sparse per il web, se posso farne a meno.
Credo nella geolocalizzazione come futuro del web? Assolutamente sì. Il mantra SoLoMo (social, local, mobile) è credibile e Lo sta proprio per contenuti locali valorizzati dalla geolocalizzazione. Sul piano personale, salvo eccezioni puntuali, non sono persuaso che lo scambio tra pubblicazione della mia posizione e valore creato sia tale da giustificare lo scambio. Non intendo far sapere dove sono nel momento in cui sono al mondo (o a un sottogruppo di utenti) se non per una ragione valida, che ancora non ho trovato.
Conclusione
Overblog a mio avviso è interessante per fare un po’ di “me marketing”. Chi è impegnato nel mondo dell’editoria o dei social media può aggregare i propri contenuti e creare una finestra personale che sia a cavallo fra i diversi ruoli che svolge durante la giornata.
Poi infila tutto nel CV e fa vedere quanto è bravo/a nel proprio lavoro.
La riflessione è interessante. Mi piacerebbe arrivare fino in fondo e parlare di come tutto questo può tradursi in pratica. Foursquare lo chiudi senza problemi, ma con Facebook come la metti? Non so tu, ma io FB sono costretto a usarlo perché la gente mi contatta tramite quello e partecipo a gruppi, come Indigeni Digitali, che nascono e vivono lì dentro. E gli amici che ho in altre città? Mmh, odio FB più di te, ma non ho idea di come si possa farne a meno da soli. Lanciamo un’operazione di dis-iscrizione collettiva?
Grazie per la riflessione. Da un altro punto di vista, personalmente non mi piace l’utilizzo di FB per il solo inserimento di soli post professionali (meglio tacere come hai fatto, se li si vuole conoscere ci sono strumenti per farlo altrove). Nella narrazione del sé lavorativo hanno importanza anche elementi di quotidianità (la gestione dei tempi e modi lavorativi, della coniugazione con la vita familiare, etc) che definiscono il proprio profilo. Ciò che personalmente mi trovo ad aver difficoltà di gestire (e questo anche su twitter) è l’utilizzo delle riflessioni, e del tempo a loro dedicate. Twittare o inserire in nota FB un pensiero che si reputa meritevole di attenzione porta a confrontarsi, ma forse prima del tempo necessario a una elaborazione più definita. Insomma: se ho qualcosa di intelligente da dire in 140 battute, forse è meglio che ci rifletta su e lo condivida prima in una cerchia ristretta: se passa la prova ne usciranno 2500 battute interessanti, o altro ancora… per ora il risultato mi ha portato a esercitare maggiormente l’ascolto, mettendo in secondo piano la visibilità.
Silvio, ognuno trova il proprio equilibrio. Se solo lo usassimo per condividere cose importanti e di valore, eliminando l’altro 90%, Facebook sarebbe un mondo diverso. Il problema in definitiva, credo, non è Facebook. Facebook è una piattaforma, non neutrale, ma è una piattaforma. E’ l’uso che la gente ne fa ad essere discutibile. Più che cancellarsi da Facebook sarebbe da contrastare/cancellare questo tipo di persona e di uso.
Grazie per la riflessione Cecilia. 140 caratteri non devono necessariamente racchiudere un pensiero compiuto. Possono sempre linkare ad un pensiero più sviluppato, come ho fatto in questo caso 🙂 Il blog è la soluzione forse
Di recente ho letto il libro di Geert Lovink, Ossessioni Collettive, e condivido la sua reazione alla “dittatura del tempo reale”. Per elaborare concetti, serve tempo, staccarsi dal flusso e avere il coraggio di prendere strade poco battute, cosa che l’immersione nei social non permette. Condivido quanto dice anche Cecilia: parlare e commentare di meno, e ascoltare di più
Leggo ora, mi erano sfuggite queste considerazioni, che trovo davvero interessanti e più che condivisibili. Hai ragione, “Il tempo passato online deve rafforzare sul serio le relazioni personali o dare valore in termini professionali”, anche se l’equilibrio non è facile. Approfitterò della disconessione estiva per meditare 😉