Skip to content →

La saggezza delle folle al servizio dei monopolisti della rete

Ho smesso di aggiungere recensioni online perché non ne vale la pena. Sì, ci sono alcune eccezioni, e riguardano la mia sfera professionale e il mio vantaggio diretto. Ho aggiunto in passato valutazioni e recensioni su Amazon, Tripadvisor, Google Maps, Booking, per verificare il funzionamento delle piattaforme, le modalità di ricompensa (virtuale al 99%), le email seguenti, i tentativi di rafforzare la partecipazione. Sul piano personale considero tutto questo, oggi, lavoro gratuito e creazione di valore per i monopolisti della rete, come è facile immaginare pensandoci un attimo.

Le recensioni su Amazon permettono ad Amazon di vendere di più, le recensioni su Tripadvisor rafforzano la posizione di destinazione per il turismo dello stesso, le recensioni su Booking permettono ai clienti di Booking di prenotare di più rispetto ai concorrenti che non hanno le considerazioni di chi c’è stato e così via per le altre piattaforme che hanno un rapporto diretto tra prodotto/servizio recensito e vendita diretta/indiretta dello stesso. Sì, vero, a volte leggo le recensioni su queste piattaforme e spesso, non sempre, gli attribuisco un valore, ma è altrettanto vero che la maggiorparte del valore creato è a vantaggio di chi gestisce la piattaforma e non di chi la utilizza. Tutti i mi piace che metti sui contenuti che leggi su Facebook e che consigli navigando, sono lavoro gratuito che fai a vantaggio dell’algoritmo di Facebook che impara ciò che ti piace e te ne fa vedere sempre di più. Sostituisci Facebook con un’altra piattaforma social a piacere e il gioco non cambia.

Ho deciso, da anni ormai, di non far apparire nessuno dei bottoncini di condivisione (e di tracciamento) di Facebook, Twitter, LinkedIn, Pinterest e compagnia nelle pagine in cui navigo (filtrati a priori, come la pubblicità). Nessun bottoncino, nessun tracciamento, nessuna sollecitazione a condividerlo. I contenuti che mi piacciono lo pubblico qui, su Twitter, su Pocket, ma senza lasciare informazioni in giro. Twitter e Pocket non hanno algoritmi di raccomandazione, quindi curo semplicemente i miei profili, a mio vantaggio, che contribuisce al successo delle stesse piattaforme, ma in maniera più equilibrata, almeno secondo il mio punto di vista, più che discutibile.

Uso Facebook il meno possibile per scopi personali per non contribuire, con i miei contenuti e con le mie interazioni (e la mia attenzione), a rafforzare il suo monopolio. Uso DuckDuckGo, insieme a Google, per limitare il monopolio di quest’ultimo e limitare i dati che Google colleziona su di me (le mie ricerche sono tutte criptate, per esempio). Uso Booking per prenotare spesso un albergo, ma non recensisco nulla. Viaggio tantissimo, ma ho smesso di aggiungere recensioni su Tripadvisor e Google Maps. Su quest’ultimo forse aggiungerò altri contenuti, per sbloccare 2 anni di 1 Tb di spazio gratis su Google Drive (240 $ di valore).

L’unica eccezione sono le valutazioni che lascio ai film che vedo e ai libri che leggo, su IMDB, Letterboxd e GoodReads, semplicemente per archivio, parzialmente pubblico, personale, di cui trovo una grande utilità.

Dovresti smettere quindi di investire tempo nel recensire i prodotti che ami online? Valuta tu: il valore reale che ne trai è superiore al valore, finito, del tuo tempo e della tua attenzione?

Published in Vivi meglio Web & Tech

2 Comments

  1. SilicoNato SilicoNato

    Ti seguo da tempo e trovo questo post un po’ ipocrita, Luca.

    Se da un lato, è vero ciò che affermi riguardo agli effetti di rete e che i gestori delle piattaforme raccolgono enorme ricchezza dai contributi degli utenti, è altrettanto vero che gli utenti ne traggono vantaggio. Se sia sufficiente a coinvolgerli in una transazione, in denaro o informazione, è una cosa che ognuno decide caso per caso. Utilizzando le piattaforme senza mai più contribuire per motivi ideologici però ti comporti un po’ come i genitori di un bambino non vaccinato che si rifiutano di farlo perché tanto i vaccini non servono e potenzialmente fanno male. Certo, se solo una piccolo gruppo fa questo, l’effetto è minimo; ma quando il numero diventa consistente, cambiano le carte del gioco con enormi danni per tutti. Sarebbe più onesto se smettessi di usare quelle piattaforme completamente qualora decidessi di non contribuire.

    Allo stesso modo, dici di bloccare ogni tracciamento. “Ho deciso, da anni ormai, di non far apparire nessuno dei bottoncini di condivisione (e di tracciamento) di Facebook, Twitter, LinkedIn, Pinterest e compagnia nelle pagine in cui navigo (filtrati a priori, come la pubblicità). Nessun bottoncino, nessun tracciamento, nessuna sollecitazione a condividerlo.” Ho installato un adblocker (uBlock) e conto ben 12 meccanismi diversi di tracciamento su questa pagina e più di 10 diversi bottoni di condivisione.

    Un po’ di coerenza aggiungerebbe credibilità al tuo messaggio. Come hai citato in un altro post, la pubblicità sul web sta diventando un po’ una tassa sui poveri. Non sono d’accordo, visto che le tecnologie per bloccarla sono disponibili alla maggior parte delle persone gratuitamente. Piuttosto, la pubblicità sul web sta diventando una tassa sull’asse integrità-pragmatismo. E’ un triangolo: ad un angolo si paga un prezzo in termini di denaro o informazione per usare le piattaforme, ad un altro lo si paga in termini di integrità usando strumenti tecnologici per cambiare le regole del gioco senza curarsi degli effetti di lungo termine sull’ecosistema informativo, al terzo angolo si può decidere di non usare i prodotti per motivi ideologici. I gestori delle piattaforme ci vogliono nel primo angolo o, poiché portiamo comunque valore, nel secondo; ma il terzo è sempre presente come alternativa.

    Non sono un integralista, uso anche io il mio caro adblocker e scelgo di riequilibrare il potere con le controparti in modi diversi in transazioni diverse. Mi aspetto tuttavia che se uno scriva di queste tematiche, e usi la propria personale esperienza come spunto per i suoi articoli, allora metta l’osservazione obiettiva e la coerenza personale al centro della propria analisi.

  2. Faccio fatica a rispondere a un commento di qualcuno che si protegge con uno pseudonimo, pensala come vuoi. Ho avuto anche un procedimento giudiziario per un commento infamante da parte di qualcuno che ha pensato bene di utilizzare questo spazio per insultare una terza parte. Presentati con nome e cognome e ne riparliamo

Comments are closed.