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Content marketing o influencer strategy?

In un ecosistema in cui l’unica costante è il cambiamento, le aziende e chi ci lavora insieme si pongono legittime domande. Chi sono gli influencer? Vale la pena coinvolgerli? Come andrebbero selezionati? Come andrebbero coinvolti? Quanta energia rivolgere agli influencer e quanta a tutto il resto del pubblico, a partire da quello più attivo e coinvolto? Dove stiamo andando? Contano sempre i numeri di fan e follower per non sbagliare?

A queste e altre domande avrò il piacere di rispondere domani pomeriggio, martedì 28 giugno 2016, ospite di Edelman, in un evento che abbiamo insieme organizzato, proprio con il titolo “Content marketing o influencer strategy?“. Durante l’incontro verrà distribuito il mio ultimo contributo per la collana Web & Marketing 2.0, Content Marketing, con la presenza del mio coautore Cristiano Carriero.

Per mettere già un po’ di verdure sul fuoco (sono vegetariano!), ho pensato di scrivere un primo contributo, per avviare e continuare la discussione online.

Gli influencer non sono più quelli di una volta

Una volta si chiamavano esperti, giornalisti e personaggi. Con l’avvento dei blog sono emersi i blogger. Quando i blog sono stati affiancati da un ecosistema di strumenti di condivisione digitale, il loro nome è cambiato in maniera omnicomprensiva, a definire il loro ruolo in questo contesto. Influencer, a significare la capacità di influenzare. Influenzare chi? Rispondere a questa prima domanda facilita tutto il lavoro che viene dopo.

Se l’influencer che l’agenzia di PR o l’azienda cerca, per l’argomento o per il settore in cui si inserisce, influenza l’opinione pubblica direttamente, probabilmente i suoi numeri sono elevati, da personaggio televisivo. Deve quindi essere conosciuto in tv, essere corteggiato dai media e probabilmente viene pagato con un gettone di presenza ogni volta che partecipa a un evento o associa il suo nome a un marchio, online e offline, sui social network o nella pubblicità. Il suo profilo è simile a quello di una star televisiva, seppur più simile a quello di una televisione tematica.

Se l’influencer influenza gli opinion maker, perché il settore è una nicchia o la sua influenza è indiretta, i suoi numeri sono da misurare rispetto a questa nicchia  e alla sua capacità di raccogliere l’attenzione dei giornalisti, dei media di settore. Il volto è noto come esperto del settore presso gli addetti ai lavori, presso gli appassionati. La sua capacità di influenza non è legata a una bella presenza, ma a una capacità di interpretare l’evoluzione del settore di cui è esperto. Il suo valore è espresso dalla sua storia e dai risultati raggiunti in questo arco di tempo. Non dura quanto una stagione televisiva e il suo posizionamento è dovuto al lavoro e alla credibilità costruita in anni.

In alcuni settori gli influencer non esistono o l’impatto che generano è così limitato da non emergere facilmente dal rumore di fondo. A volte esistono ma non sono attivi nell’arena digitale, per mancanza di interesse o di vantaggi diretti, monetari e non. Se sono un medico affermato, che guadagna abbastanza per se e per le prossime due generazioni, chi me lo fa fare di dover imparare a comunicare online e spendere parte del mio poco tempo libero a condividere le mie opinioni autorevoli e il mio sapere?

Product placement, lavoro e relazioni

Se gli influencer si possono dividere in due sottoinsiemi, il modo di rapportarsi con loro, valutarli, selezionarli e coinvolgerli rispecchia le stesse suddivisioni, con una unica postilla.

L’influencer popolare

La stella di prima grandezza o di influenza diretta sulla massa, ha numeri tali da parlare a un pubblico televisivo. In qualche caso è da prima serata, in molti altri è da tv della notte o del mattino: il pubblico c’è, ma non sempre si misura in milioni, anzi. Più spesso si misura in decine di migliaia, ma sempre televisivo è. Ciò significa che la relazione non è con un appassionato o un esperto, ma con un personaggio. Un personaggio, quando ha capito il proprio valore di influenza, non viene via con poco, anzi. Considerata la scarsità dei soggetti di questo genere, il prezzo aumenta e di prezzo stiamo parlando.

Ogni coinvolgimento verrà probabilmente considerato un product placement, più o meno genuino, più o meno convinto, più o meno dichiarato. Che si tratti di provare un prodotto e parlarne in pubblico, partecipare a un evento pubblico o aziendale, interagire con un brand, l’influencer in questione chiederà del denaro e vorrà essere pagato. All’azienda valutare se il seguito è più da Marzullo di quarta serata o da De Filippi e se il marchio è associato a un volto noto al pubblico generalista o al pubblico appassionato di un tema specifico. Potrebbe essere un affare, se l’influencer è in ascesa ma non ancora affermato. Potrebbe non essere noto in tv, ma lo stesso ragionamento vale per tutti gli altri mezzi. Stiamo parlando di microcelebrity, non di celebrity.

L’influencer di nicchia

La seconda tipologia di influencer non richiede un pagamento diretto. In questo caso il valore espresso dal brand proposto all’influencer deve essere indirettamente monetizzabile, una esperienza che arricchisce l’autorevolezza dell’influencer sul piano dei contenuti e agli occhi del suo pubblico. Non si tratta di pagare uno spazio pubblicitario, perché i numeri non lo giustificherebbero. L’operazione è simile a quella che le capaci agenzie di PR hanno svolto da sempre.

Questo influencer, se esiste, è autorevole nel suo ambiente, noto come un soggetto più curioso e connesso degli altri, aperto alle relazioni e a nuove conoscenze. Naturalmente sarà attratto da opportunità di condividere esperienze nuove con il proprio network di appassionati. In questo caso è un network, più che un pubblico. L’azienda deve essere consapevole che in questo caso sta investendo in una operazione di relazioni, con un soggetto connesso, che può indirettamente raggiungere il pubblico con cui l’azienda vuole accreditarsi. In qualche caso questo pubblico non è composto dal consumatore finale, che l’influencer non ha il potere di raggiungere, ma quello degli addetti ai lavori o i media o altri stakeholder. I numeri del suo seguito contano, ma in maniera relativa agli altri soggetti del suo ambiente e non vanno paragonati con gli influencer del primo gruppo, che rispondono a logiche diverse. Sarebbe come confrontare uno spot pubblicitario in prima serata durante il primo tempo di Italia Spagna agli Europei 2016 con la partecipazione al tavolo di una cena con l’attenzione dei primi ministri del G7: il primo consente di raggiungere alcuni obiettivi, il secondo altri.

La postilla a questo ragionamento è che gli influencer di nicchia a volte lavorano nell’ambiente di cui sono influencer. In questo caso, può succedere che un intervento attivo in un evento possa e debba essere pagato, legittimamente come una prestazione professionale. Il tutto con trasparenza e chiarezza: il lavoro è lavoro.

Influencer strategy ma senza troppe distrazioni

Avere una strategia per coinvolgere gli influencer del proprio settore, soprattutto se l’azienda sta già investendo un budget in relazioni pubbliche, è un modo intelligente di gestire le proprie risorse con lungimiranza. Il mondo è cambiato, il web è diventata la fucina dei nuovi influencer e anche i vecchi si stanno riposizionando, a volte con successo, in molte altre meno. Rimanere ancorati al vecchio sistema dei media significa progressivamente perdere di influenza: un po’ come continuare a comprare pagine e pagine di pubblicità sui giornali quando l’attenzione e il tempo degli utenti è passato sullo schermo dello smartphone e sui social network.

Detto questo, un investimento in relazioni pubbliche è parte di una strategia più complessiva in cui parte del messaggio dell’azienda è promosso a pagamento con la pubblicità, in parte gode dello spazio altrui grazie a un buon ufficio stampa e a delle ottime PR (lavoro sugli influencer incluso) e in una terza parte è diffuso su spazi propri, coltivati con il tempo e con il sudore, giorno dopo giorno. Per ottimizzare le risorse ci vuole un messaggio univoco, declinato in maniera coordinata e coerente su tutti gli spazi. Per il web è necessaria una strategia per i contenuti, perché il marketing online è e sempre più sarà content marketing. Gli argomenti a favore di questa tesi si chiamano: adblock, inbound marketing, storytelling e ascesa del social web, soprattutto sul mobile web.

Se ci sono i contenuti, loro verranno da te

I contenuti restano il fulcro del sistema. Se ho contenuti originali e accattivanti da proporre, è probabile che la pubblicità colpirà maggiormente lo spettatore, che gli uffici stampa scrivano più spesso dell’azienda, che i canali di comunicazione diretta dell’azienda abbiano un seguito sempre più ampio e appassionato, grazie al passaparola spontaneo. Gli influencer, da parte loro, saranno più invogliati a partecipare alle esperienze promosse dall’azienda e troveranno valore nel condividerle con il proprio pubblico. Considerando che tempo, attenzione ed energia sono monete finite e limitate, per un influencer significa avere più tempo e più attenzione per una azienda rispetto a un’altra, oppure solo per una oppure prima per una.

Il contenuto proposto è e resta il punto di partenza. Può prendere le forme di un evento, di un lancio prodotto, di un tour conoscitivo, di un momento di confronto e di condivisione, di una notizia da condividere. La forma cambia a seconda del contesto, ma sempre di contenuto stiamo parlando.

Se il contenuto non è più re, dimmi tu chi lo ha detronizzato

Se nel marketing sono in ascesa strumenti che apparentemente possono mettere in secondo piano il contenuto, inscatolato con strumenti di automazione (marketing automation), promosso e veicolato con altri strumenti automatici per trovare lo spazio al miglior prezzo (Programmatic advertising), nelle relazioni pubbliche si possono usare CRM più completi e performanti, utilizzare strumenti di analisi più sofisticati, ma l’elemento umano, l’elemento della relazione resta il punto di partenza. Per stabilire o coltivare una relazione cosa serve? Un contenuto originale, coinvolgente, di valore, che prenda la forma di una conversazione interessante, di una esperienza che vale la pena vivere, di una conoscenza su cui vale investire del tempo.

Gli early adopter del marketing, della comunicazione e, almeno in parte, delle PR, sono naturalmente portati a farsi entusiasmare dalle novità, aggiungendo nuove opportunità di coinvolgere persone, influencer e diffondere la proposta dell’azienda. Snapchat, Pinterest, Periscope, Facebook, Twitter, Tumblr, Instagram, Flickr, YouTube, WhatsApp, WeChat, LinkedIn. I nomi e le piattaforme evolvono, ma il fattore costante è uno: la persona.

Persona, relazioni, contenuto: il cerchio si chiude.

 

Disclaimer

Il sottoscritto non è oggettivo quando parla di influencer perché è considerato egli stesso un influencer. Il conflitto di interessi è evidente e palese.

Published in Media & Social media