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Una pandemia lunga 15 anni

blog

15 anni fa la vista sulla rete era ben diversa da oggi. Non esistevano servizi che hanno centinaia di milioni di utenti su scala globale. Gli italiani non erano ancora arrivati in massa online. Niente smartphone o tablet, ma accesso solo da pc desktop, più ufficio che casa. Il social web o Web 2.0 non era stato ancora inventato, così come l’espressione social media (e a cascata social media marketing). Non esistevano gli influencer, ma cominciavano a nascere i primi blogger. Sì, 15 anni fa esisteva Blogger, di Evan Williams, ancora non acquisito da Google. Lo stesso Google non era il colosso che è ora: la concorrenza di Yahoo!, Ask e altri esisteva ancora.

Come nasce un blog

Nell’autunno del 2002 nascevano le prime piattaforme di blogging italiane, da usare semplicemente registrandosi gratuitamente. Splider per prima, poi i portali sono andati a ruota, offrendo servizi simili. Dopo averne provati alcuni, da oltre un anno, decisi di aprire un blog sulla neonata piattaforma di blog del portale Clarence. All’epoca offriva il non plus ultre delle piattaforme di blog, ovvero Movable Type. Oggi nessuno se la ricorda più, soppiantata da WordPress, nato qualche anno dopo.

I blog erano già entrati a far parte della mia dieta informativa da circa un anno. Dal dopo 11 Settembre, scoprendo il passaparola generato dai blog newyorkesi, quando tutti i principali siti di informazione erano diventati irraggiungibili a causa dell’elevato traffico, ho cominciato a seguire il fenomeno. Dal 13 dicembre 2002 decisi di cominciare a raccontarlo qui, su quello che poi nel febbraio 2004 è diventato a tutti gli effetti Pandemia.info. All’inizio c’era solo i blog, con la novità dei moblog, gestibili dai primi smartphone Nokia, o i photoblog, dove archiviare foto digitali scattate con le prime macchine digitali appunto. Oggi tutto questo può far sorridere, ma all’epoca c’era il GPRS, con una velocità di banda inferiore ai 100 kbit/sec.

Il blog è vivo e lotta insieme a noi

In 15 anni i blog sono stati dati più volte per morti e molti servizi web una volta popolari, oggi sono estinti o caduti così in disgrazia che nessuno o quasi li usa più. Certamente il fenomeno, come tutti i fenomeni mediatici, ha visto un picco e una discesa conseguente. Da unico sistema per pubblicare contenuti in rete, oggi abbiamo piattaforme dove attivare un profilo e pubblicare contenuti in pochi minuti e pochi click. Tutto è diventato più facile, ma la convenienza ha un prezzo. Nonostante tutto, i blog sono vivi e vegeti e continuano a esistere, perché svolgono una funzione: organizzare l’identità digitale di una persona, di una organizzazione, di un prodotto, di una idea. Non è la stessa cosa dell’avere un profilo social su una piattaforma terza, soggetta a regole che puntano a monetizzare il tempo e l’attenzione delle persone, in maniera legittima per altro.

Chi ha oggi un blog, di lunga data o appena aperto, ce l’ha perché vuole avere la libertà di esprimersi come vuole, senza censura, senza limiti, senza diventare strumento di fini altrui. La maggioranza delle persone non ne ha bisogno: un profilo su Facebook è l’ideale per seguire vite altrui e raccontare momenti della propria, al limite con varianti di carattere visuale come Instagram o Snapchat. In questo quadro ciò che è triste è che molti che potrebbero beneficiare di un blog, o che lo avevano, lo hanno abbandonato per approfittare (soprattutto) della comodità di Facebook nel distribuire i propri contenuti. Del resto il meccanismo notifica-mi piace-commento e via con nuova notifica, genera dipendenza anche nell’utente più consapevole. Figuriamoci su chi non ha gli strumenti o l’interesse a interrogarsi sullo status quo.

La sirena del social web

Non che il sottoscritto non si sia fatto affascinare dalla sirena delle piattaforme social, anzi. Anche nel 2017, con tutta la consapevolezza sui meccanismi alla base dei social network che monetizzano privacy, tempo e attenzione, ho dedicato al blog meno attenzione di quella che avrei dovuto. Pubblicare un breve pensiero su Twitter o un link veloce a qualcosa di interessante è più facile e veloce dell’aprire il blog, pensare a un titolo, scegliere una immagine, scrivere un pensiero ragionato, controllare l’ortografia, inserire qualche parola in grassetto, definire le parole chiave e poi pubblicare il tutto. Del resto su Twitter un seguito di attenzione c’è e il blog invece lo ha perso, con l’abbandono dei feed RSS, ormai usati da una nicchia di una nicchia di utenti (grazie a chi è abbonato da lunga data e continua a leggermi in questa forma).

Meno è meglio

Il 2017 è stato un anno di contrazione, verso la qualità. O almeno questo è stato lo spirito. Nella prima parte dell’anno, per contrastare un umore tendente alla depressione causato da tristi vicende familiari, ho potato i post che non avevano più ragione di esistere online, per varie ragioni: servizi che non esistono più, veloci segnalazioni di notizie che nel frattempo non erano più disponibili, commenti personali poco interessanti letti a distanza di tempo. Materiale che non aveva alcun senso mantenere, neanche come documentazione storica personale. Il risultato – il lavoro in realtà non è ancora finito – è stato un taglio di oltre 2000 post dal picco di contenuti pubblicati anni fa, fino a scendere a 3436 articoli pubblicati, di cui 105 nel corso del 2017.

2017, anno di transizione

Nel 2017 è cambiato anche il focus di questo blog, passato a “Imparare qualcosa di nuovo ogni giorno“, per allinearsi con il mio obiettivo principale, trasversale tra vita personale e vita professionale. In questi anni è cambiato anche il mio punto di vista rispetto alla condivisione di contenuti relativi alla propria vita personale in rete. Dall’entusiasmo della prima ora, con la sperimentazione appassionata di ogni nuova piattaforma, ho deciso di ridurre la mia presenza agli spazi essenziali e di ridurre l’esposizione della mia vita personale. Niente più foto di colazioni, nessun aggiornamento sui miei spostamenti da nomade digitale, riduzione della partecipazione online e del coltivare relazioni online.

Una consapevolezza nuova del valore del tempo, dell’attenzione, delle relazioni faccia a faccia e del consumo di contenuti più ricchi e stimolanti delle pagine web, coltivando vecchie passioni in maniera seria. Non è un caso se quest’anno è il secondo miglior anno della mia vita in termine di pagine di libri lette (33.000 pagine e 124 libri finiti) e il migliore in termini di film visti (254, di cui più di 100 al cinema). La vita è fatta di scelte: si può passare la vita a scorrere il feed social o ritagliarsi del tempo per allargare gli orizzonti, leggere libri e farsi ispirare da film o serie tv originali. In questo mi sento sempre più un pesce fuor d’acqua. Non avere una presenza attiva su Facebook significa che gli amici meno stretti si dimenticano che esisti. Il flusso da seguire è così ricco e veloce che non c’è neanche il tempo di accorgersi di chi non partecipa.

Il blog ti cambia la vita

A questo blog devo molto. Ho conosciuto persone di valore. Ho partecipato a eventi unici (Afghanistan con US Nato tra tutti). Ho trovato clienti. Ho coltivato relazioni e accresciuto la mia reputazione. Ho condiviso interessi e ispirato altri lettori. Il tutto con divertimento, fatica, costanza, impegno, pazienza. Nel mezzo mi sono anche preso una querela (finita in nulla) per un commento altrui, ho ricevuto insulti, sono stato oggetto di gossip come una microcelebrity, c’è chi mi ha odiato. Ne è valsa comunque la pena e consiglio ancora a tutti di avere un proprio blog personale, per condividere interessi personali o professionali.

Chissà come sarà il mondo (digitale) tra 15 anni. Certo è che 15 anni non avrei mai potuto prevedere che attivare Pandemia avrebbe influenzato profondamente la mia vita, permettendomi di viaggiare, di trovare un lavoro che mi piace, di scrivere libri, di aiutare persone a vivere e lavorare meglio con il digitale.

Un viaggio che continua, almeno fino a quando sarò in grado di esprimermi e avrò qualcosa da comunicare.

Buon viaggio!

Published in Esperienze

14 Comments

  1. Lunga vita a Pandemia!
    Ciao Luca, ti seguo sempre con interesse e mi ritrovo molto in quello che scrivi, anch’io ho avuto negli ultimi anni una riduzione della condivisione social a vantaggio della mia vita privata.
    A presto in giro per Senigallia! 🙂
    Libero

  2. Gran bel post questo. E che bello vedere che, almeno qui, hai mantenuto i commenti aperti. L’anima del blog è data dalla condivisione dei pensieri e l’area commenti, per quanto spesso deserta, rappresenta l’apertura mentale di una persona pronta all’ascolto e al confronto.
    Ad majora!
    Ciao,
    Emanuele

  3. Chi non si ricorda più Movable Type? 😉
    Quanti ricordi Luca.

  4. Io continuo a seguirti via feed. Buon viaggio!

  5. Alessio Alessio

    Sono un lettore feed, abituato alla qualità dei contenuti, è non riesco a smettere! Ciao e tutti

  6. Gerardo Adinolfi Gerardo Adinolfi

    Fra 15 anni non riesco ancora a immaginare come sarà il mondo digitale. Ma ciò che è certo Luca, o meglio Prof, è che questo degli ultimi 15 anni sono riuscito a leggerlo e a comprenderlo a volte prima e meglio degli altri, grazie a te e al corso all’Università di Urbino. Quindi, grazie.

  7. Luca Conti nel suo podcast “Equilibrio digitale” spiega come si fa a mantenersi in piedi nel tifone delle nuove tecnologie


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    Come usare la tecnologia con intelligenza, senza diventarne schiavi. Quando Luca Conti, conosciuto anche per il suo blog Pandemia ed esperto nostrano di hi-tech, ha deciso di aprire “Equilibrio digitale”, il suo podcast, uno dei pochi made in Italy dedicati all’argomento invece molto popolare negli Stati Uniti, forse pensava solo di fare quattro chiacchiere su temi marginali e destinati più che altro a qualche chiacchiera da salotto.
    Invece, si scopre che è una risorsa preziosa andando avanti nella disseminazione di oggetti connessi e di stili di vita sempre più frammentati e resi difficoltosi dalla continua distrazione che disintegra l’attenzione, trasformandola in una granola informe e incapace di connettere pensieri intellegibili. Forse esageriamo a dire così, ma alle volte la sensazione è proprio quella di avere in qualche modo messo troppa carne al fuoco, troppi link, troppe notifiche, troppe finestre aperte, troppi fili del discorso che si frammentano e svariano lungo infinite digressioni e verifiche non importanti.
    Conti invece affronta con calma e spirito ottimista il problema, in un podcast prodotto da Piano P che è davvero molto interessante perché propone consigli pratici oltre a una visione di insieme dei problemi. Conti si è sempre più appassionato di minimalismo tanto da volerne fare una scelta di vita non solo tecnologica ma anche esistenziale. Solo che già la scelta tecnologica è abbastanza difficile.

    «Dare importanza alle cose che meritano veramente: è questo il significato profondo della parola minimalismo, uno stile di vita che aiuta a fare chiarezza nel lavoro e nella vita», dice Conti nel suo podcast. Ma non solo: «”Meno è meglio” – aggiunge Conti – si sposa bene con il design, con l‘ambientalismo e anche con il rapporto che abbiamo con la tecnologia. Con una sola eccezione, che è data da un altro concetto-chiave, diventato per me quasi un mantra: un dispositivo, una funzione».
    Ecco dunque la parte pratica della filosofia che Conti sta sviluppando: un approccio più meditato e più strategico alla tecnologia, tramite un approccio che va decisamente controcorrente rispetto a quello che ci possiamo aspettare dagli apparecchi di oggi. Un solo dispositivo, una sola funzione. Una scelta piuttosto drastica che permette però di fare un bel lavoro di pulizia e di riorganizzazione del pensiero.
    Come già nell’articolo che affronta il tema della decisione di fare altre scelte rispetto a quelle di un unico apparecchio “buono per tutto”, come spiegato anche dall’italiano Federico Pistono, si torna dunque all’idea di utilizzare più apparecchi monouso. Conti ne è deciso: «Concentrare tutte le attività in un solo smartphone ci espone inesorabilmente a essere distratti: meglio, dunque, usare un apparecchio che faccia solo una cosa. Un esempio? Un lettore di e-book: ti fa immergere nella lettura senza che nessuno ti disturbi».

    Ma c’è di più perché, come abbiamo detto, la filosofia di Luca Conti è abbastanza radicale, nonostante il tono apparentemente dimesso con il quale viene esposta: «Togliere il superfluo è un esercizio che andrebbe praticato costantemente, appena senti che stai ricominciando ad accumulare oltre i tuoi limiti reali. Fare spazio nel tuo disco rigido, ad esempio, consente di liberarti di tutto ciò di cui non hai bisogno e di dedicare tempo e attenzione a ciò che per te conta e ha più valore».
    Come non condividere le parole di un guru della tecnologia italiana che ha saputo da lungo tempo vedere lontano, intuire quali potessero essere ad esempio le trappole dei social, tanto dai aver di recente ribadito il suo desiderio di rimanere “dentro” il suo blog, che consente di avere controllo della propria identità digitale e del proprio pensiero telematico. Via quindi a due apparecchi da tasca: uno è il telefono con solo le app essenziali (mappe e fotocamera, praticamente), mentre l’altro è per il lavoro con tutte le app che servono per la giornata. In maniera tale che la vita possa procedere con ritmi e stagioni più equilibrate. Un esempio da seguire? Forse no, ma sicuramente un pensiero sul quale riflettere.

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