Cosa significa l’espressione nativi digitali? Una persona che ha una immediata familiarità con un touch screen, smartphone o tablet, per navigare o giocare, oppure una persona che si muove con consapevolezza e agilità nella società digitale? Spesso si scambia la prima persona con la seconda, dando per scontato quindi che basta saper usare uno smartphone e le relative app più popolari per essere un cittadino digitale consapevole. Nella realtà non è così.
Chi ha un figlio nato nell’era degli smartphone si sarà convinto che tutti i giovani siano naturalmente dotati per navigare nell’era digitale, eppure non basta intuire come funziona un touch screen per vivere e sopravvivere nel nostro mondo. Non ho grandi numeri e ricerche da mostrare (ma non ce le ha neanche chi usa l’espressione nativo digitale con gusto), ma l’esperienza a contatto con centinaia di studenti universitari di 20-21 anni. Quello che vedo è un largo uso di tecnologia mobile e social network, insieme a una grandissima ignoranza su tutto quello che ci sta dietro. Economia dell’attenzione, monopoli e posizioni dominanti, dipendenza da notifiche, impossibilità a tenere una conversazione, collo chino e consapevolezza prossima allo zero su tutto quanto è manipolazione dei comportamenti e della psicologia umana da parte di app e social network.
Probabilmente il 90% di chi usa il termine nativo digitale è a sua volta inconsapevole e giudica soltanto le apparenze.
Prova, se ne hai l’occasione, di interrogare un nativo digitale sui meccanismi che stanno alla base di Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat e l’economia dell’attenzione. Scommetto fin da ora che ciò che otterrai è una bella espressione di sorpresa.
Chi lavora per far crescere questa consapevolezza, nel mondo della scuola e nel mondo dell’università? Domanda che merita riflessioni, che non ho modo di aggiungere ora.