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La forza di attrazione del telefono, in un romanzo

L’equilibrio digitale dove meno te l’aspetti, in un romanzo.

Saeed opponeva un minimo di resistenza alla forza d’attrazione del suo telefono. Trovava l’antenna troppo potente, la magia che produceva troppo ipnotica, come se avesse sempre pronto davanti un banchetto sconfinato, e rischiasse di ingozzarsi, ingozzarsi, fino a sentirsi inebetito e nauseato, e cosí aveva rimosso o nascosto o limitato quasi tutte le applicazioni. Il suo telefono poteva chiamare. Il suo telefono poteva mandare messaggi. Il suo telefono poteva scattare foto, identificare corpi celesti, trasformare la città in una mappa quando lui stava guidando. Ma questo era tutto. O quasi. Si riservava anche ogni sera un’ora in cui attivava il browser e si perdeva in angoli poco frequentati di internet. Ma quell’ora era severamente regolata, e c’era un timer a segnalarne la conclusione, uno scampanellio garbato e arioso, come dal fatato pianeta di una sacerdotessa della fantascienza vestita d’azzurro luccicante, e allora lui spegneva il suo browser e non lo attivava piú fino al giorno successivo.

In realtà non è giusto dire “dove meno te l’aspetti”, perché i romanzi contemporanei spesso illustrano il presente meglio di tanti saggi specialistici, come dice Jeff Bezos e ha ragione.

Il romanzo in questione è Exit west.

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