Lo ammetto, sono sorpreso. Dopo aver reso pubblico il desiderio di allontanarmi dai social media, prima personalmente, poi professionalmente, per una scelta etica, ho ricevuto più attestazioni di stima di quante me ne sarei aspettate. Salvo una esigua minoranza di messaggi da parte di persone che mi hanno raccontato la propria simile esperienza di allontamento, tutti gli altri o quasi hanno commentato plaudendo al mio (presunto) coraggio.
Dal tono delle reazioni ho la sensazione che in Italia, soprattutto tra gli addetti ai lavori, non si sia compresa la reale portata della minaccia delle piattaforme monopoliste. La mia scelta, definita etica appunto, non è stata contestata apertamente da nessuno, anzi. Tutti, nessuno escluso, l’hanno appoggiata. I critici sono rimasti nell’ombra. L’appoggio però è stato accompagnato da commenti del tipo: “non ne possiamo fare a meno”, “per il business comunque funziona”, “vorrei anch’io e lo farò, ma non ora”.
Non ho potuto fare a meno di notare il parallelismo con l’essere vegetariano/vegano. Quando ho deciso di fare questa scelta cinque anni fa, l’ho presa da un giorno all’altro, pur avendo intrapreso in precedenza un percorso di riduzione. Come per la scelta di abbandonare F., ho sempre considerato il mio essere vegetariano una scelta personale. Non vado a fare proselitismo e non giudico chi compie scelte diverse. Detto questo però, non avevo previsto tutta la curiosità verso questa scelta, da parte delle persone con cui mi sono trovato nel tempo a condividere un pasto. Clienti, colleghi, amici, familiari: non c’è stato pasto in cui qualcuno mi abbia chiesto perché. Salvo casi che si contano sulle dita di una mano, una volta enunciati i principi alla base della scelta, i più hanno reagito esattamente come chi oggi reagisce alla mia scelta contro i social media: “non riesco a rinunciare alla carne”, “ma poi come fai a organizzarti”, “cambi tu, ma il resto del mondo continua, quindi non serve a niente”, “sì, hai ragione, ma non sarei mai in grado di vedere come si macellano gli animali”, “preferisco non sapere, altrimenti non mangio più la carne”, “la salute sì, ma come fai a rinunciare al prosciutto?”.
Nessuna di queste persone è cattiva o in malafede. La difficoltà, individuati i principi e i valori in cui ci si riconosce, sta nel trasformare questi principi in comportamenti e azioni quotidiane. C’è chi preferisce nascondersi dietro scuse, più o meno plausibili, che nascondono in realtà il non essere onesti con se stessi. Peggio ancora che non essere onesti con gli altri. Se dico a me stesso che il maiale è un animale intelligente e che soffre per come viene trattato negli allevamenti intensivi, posso poi mangiare una fetta di prosciutto? Se credo che F. si sia nel tempo comportato scorrettamente, a vari livelli, nei confronti dei suoi utenti, divenendo corresponsabile di diffusione di false notizie, linciaggi con morte di persone vere (basta leggere le cronache degli ultimi due anni per aggiungere n altri casi della stessa gravità, con conseguenze reali sulla vita e la morte delle persone), il tutto per un legittimo profitto, posso continuare a usarlo per i miei interessi e non pensare di essere in qualche modo corresponsabile? Delle due l’una: o credo in qualche principio e modifico il mio comportamento, o è meglio ammettere di non avere quei principi.
Non si tratta né di coraggio, né di avere ragione o torto, né di considerarsi migliore degli altri. Si tratta di essere coerenti prima di tutto con se stessi. Non ci sono arrivato in un giorno e non giudico chi non c’è ancora arrivato. Tutto ha un prezzo da pagare e c’è chi non è in grado di pagarlo, per n ragioni. Non posso però non stigmatizzare l’incoerenza tra enunciazione di principi e azioni. Tutto qua.
Le tue scelte di abbandono coincidono con le mie. Anch’io sento forte la sensazione di non poter rimanere più indifferente.
Sento totalmente mio questo passaggio.
Ciao,
Emanuele