Mi svesto dei panni di autore di un podcast, seppur piccolo e limitato, per mettermi nei panni di ascoltare di podcast e fare una critica: i podcast possono essere un buon complemento all’interno della propria dieta informativa, ma con moderazione.
C’è stato un periodo della mia vita in cui ero un fan assoluto dei podcast. Ne ascoltavo almeno una quarantina, li ascoltavo 2-3 ore al giorno e ogni momento in cui potevo infilarne l’ascolto di uno era buona cosa: in viaggio in treno, a passeggio, durante l’esercizio fisico, nel cucinare e nel consumare i pasti e ovviamente in auto (disclaimer: passo pochissimo tempo alla guida). Ero innamorato di podcast di vario genere: informazione, opinioni su temi diversi, interviste, radiodramma, commedia, memoir. Ne seguivo tanti e ne cercavo di nuovi. Poi ho smesso e non ho più ripreso come prima. Cosa è successo?
Il punto di svolta è stata la realizzazione che avere sempre qualcosa nelle orecchie era intrattenimeno, informazione, ma soprattutto distrazione. Distrazione da ciò che stavo facendo in quel momento. Lì ho capito il valore del concetto opposto, della mindfulness, ovvero concentrarsi su ciò che stai facendo. Vivere il momento. Che si tratti degli uccellini o del rumore delle auto mentre passeggi, del tagliare la verdura, dell’assaporare ciò che metti in bocca, che ti concentri alla guida su cosa hai davanti a te. Questi momenti sono stati sostituiti da un leggero sottofondo musicale strumentale o dal silenzio.
Non ritengo ora di essere meno informato di prima. In treno passo più tempo a leggere libri che a fare altro. Salvo poche eccezioni, tra chi mi circonda non è cambiato nulla: nella mia cerchia di contatti frequenti, un paio o poco più ascoltano podcast. Negli USA i podcast si moltiplicano, insieme alla pubblicità, alla ricchezza di contenuti e al business generato. L’attenzione continua a crescere. In Italia la tendenza è la stessa, ma con un ordine di grandezza inferiore, se non due. Sì, ci sono due soggetti che offrono audiolibri e podcast esclusivi in abbonamento in italiano, ma il fenomeno resta di nicchia. Lo dico con dispiacere, perché nel podcast, anche mio, ci ho creduto molto e mi sono ripromesso di tornare a investirci.
Oggi mi chiedo: ne vale veramente la pena? La risposta non è un sì convinto.
In Italia non c’è da essere bastian contrari rispetto al podcast, perché il fenomeno non c’è, di fatto, salvo poche nicchie ben difese da gente in gamba, che ne trae un beneficio diretto, in termini monetari e di reputazione. Negli USA c’è chi osa polemizzare contro i podcast, argomentando a faovre della musica e contro la bassa qualità audio di molti podcast di successo. Un dibattio che in Italia non esiste e temo non esisterà per altri anni. Cosa dovrebbe scatenare un cambiamento? Le auto connesse? VIP radiotelevisivi che passano alla produzione di podcast indipendenti? Chi glielo fa fare?
I podcast restano un ottimo modo, soprattutto per chi fa il pendolare, per migliorare l’apprendimento dell’inglese e ampliare la diversità dei contenuti consumati, ma per il resto se ne può tranquillamente fare a meno. Tendiamo, se non ci pensiamo, a consumare una quantità di media che non ci aiuta a vivere meglio, anzi, ma a distrarci da ciò che conta di più nella vita. Non è una novità.
Se non hai mai ascoltato podcast e hai tanto tempo in cui fai attività routinarie, provare potrebbe essere una buona idea. Se invece occupi ogni momento libero della giornata con le cuffiette in testa, forse ti farebbe bene staccare un po’.