Il grande carrello è un fantastico libro, accessibile e illuminante. L’evoluzione del consumo in Italia, visto attraverso la grande distribuzione organizzata (GDO), è raccontata con dati, analisi e fatti. Se sei tra il 70% degli Italiani che fanno spesa abitualmente in supermercati e in ipermercati, forse imparerai molte cose:
«Il supermercato del futuro avrà solo prodotti di qualità, legati al territorio, capace di trasmettere sensazioni ed esperienze. Prodotti tipici e attraenti e con tutto quello che asseconda i moderni stili alimentari, ossia free from, vegan, vegetarian, dop-docg-igp, rich in, superfood, biologico, etnico, km zero, eu-organic, macelleria, salumeria, ittico, ortofrutta, per arrivare all’ibridazione fra vendita al dettaglio e ristorazione. I prodotti merce, le cosiddette commodity, saranno acquistati on-line. Noi dobbiamo vendere qualcosa di unico. Gli stessi cassieri dei supermercati dovranno diventare food consultant, riavvicinarsi ai clienti, consigliarli, accompagnarli negli acquisti». Insomma i supermercati, nati in un certo senso contro la signora Maria dell’alimentari sotto casa, dove bisognava fare la fila e aspettare il proprio turno perché nulla si poteva prendere da soli, rinnegheranno la loro stessa ragion d’essere e diventeranno delle grandi signore Maria. O meglio, integreranno gli aspetti più richiesti oggi della vecchia signora Maria con gli elementi di praticità che hanno segnato la loro innegabile vittoria rispetto alle vecchie drogherie: lunghi orari d’apertura, casse veloci, varietà e convenienza.
Guardando le pubblicità del secondo dopoguerra e quelle di oggi notiamo un vero e proprio stravolgimento di costumi e di senso, che ci racconta molto dell’evoluzione della società: negli anni Cinquanta la Buitoni e la Barilla pubblicizzavano la «pastina glutinata», in cui era aggiunto un 15% di glutine secco, come «il miglior alimento per bambini, ammalati e convalescenti». Il burro veniva decantato come prodotto che «è buono e fa bene» e va «mangiato il più possibile per lubrificare le vene e le arterie». Il paese usciva dalla guerra, credeva nel futuro e voleva lasciarsi alle spalle le ristrettezze del passato. Bisognava mangiare alimenti ricchi di grassi, di proteine, mirare all’opulenza.
Il supermercato conosce i suoi clienti, con tutte le loro debolezze, i loro desideri, le loro nevrosi e paure. Sa che fare la spesa è un’esperienza, ma anche una fatica. Sa che chiunque entra con una lista della spesa nove volte su dieci uscirà con qualcosa in più. E sa che verso la fine dell’esperienza il cliente avrà un certo «affaticamento decisionale»3, sarà più propenso a cedere alle lusinghe di acquisti non previsti. Per questo i dolciumi sono vicini alle casse. Per questo le bevande gassate sono spesso in espositori autonomi verso l’uscita. La collocazione fa aumentare le vendite: secondo una ricerca condotta nel Regno Unito, posizionando le bibite gassate a fine corsia si aumentano le vendite del 51,7%
In un passaggio si racconta come l’entrata in vigore del sacchetto di bioplastica per la frutta e la verdura sfusa ha generato una riduzione del consumo sfuso, a favore delle confezioni in vaschetta di plastica. Per risparmiare due centesimi, consumiamo più plastica. Anche se riciclata e riciclabile, è pur sempre plastica. Alla faccia della riduzione! Siamo un popolo bue. Non c’è altro modo di dirlo, con tutto rispetto per il bue.
Avrei dovuto sottolineare capitoli interi per sintetizzare le pratiche non etiche della GDO verso i produttori di alimentari, che stanno trasformando il nostro cibo in una merce in cui la qualità conta sempre meno, a favore del prezzo basso. Da leggere e soprattutto da applicare.