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In che mondo viviamo…

Sono un grande amante dei viaggi e sono stato nel Sud Est Asia più di una volta nella mia vita. Per quanto in Italia e in Europa ci possiamo sforzare a incentivare pratiche meno insostenibili, il resto del mondo in via di sviluppo non ci viene dietro abbastanza velocemente. I consumi si impennano e la curva del riciclaggio e degli standard non si impenna altrettanto, purtroppo.

Tre esempi presi poco fa dal Guardian. In Thailandia si macellano i maiali con la massima crudeltà. In Cambogia c’è un solo macello, con pratiche comparabili e che preferisco non commentare. Le spiagge del Vietnam cominciano a essere invase dalle confezioni in Tetra-Pak dell’industria alimentare e non c’è nessuno che separa e ricicla, perché costa troppo.

Non c’è neanche da prendersela con l’Asia, perché gli USA, quelli che sulla carta hanno più risorse, hanno un tasso di riciclaggio in calo e un livello di consumo n volte superiore. Basti pensare al fenomeno del coffee to go, che negli USA è la norma, con miliardi di bicchieri e coperchi che vanno in discarica o nei fiumi e nell’oceano.

Per quanto la nostra coscienza ambientalista sta crescendo, i danni che abbiamo già fatto sono enormi e, pur con lo sforzo dei media e delle organizzazioni no profit e del governi (alcuni), stiamo solo rallentando, ma non abbiamo invertito la tendenza. Il motivo è semplice: far emergere i costi ambientali significherebbe tassare i prodotti, qualsiasi prodotto industriale, tanto da causare effetti recessivi evidenti. Il modello di sviluppo non va. Non è popolare dirlo, ma è così. La tecnologia non ci salverà. Aumenterà l’efficienza del consumo di risorse, ma ne consumeremo comunque troppe.

Non si tratta di essere pessimisti, ma realisti. Le scelte etiche sono possibili, ma difficili e impopolari. Nel gergo aeronautico si usa l’espressione “brace for impact”. Ci siamo capiti.

Published in Esperienze