Siamo costantemente immersi nel flusso dei numeri della pandemia, dell’emergenza sanitaria – contagi, positivi, isolati, quarantene, tamponi, ospedalizzati, terapie intensive, guariti, vaccinati, green pass – col risultato che rischiamo di perdere la prospettiva e lo sguardo verso il futuro. In questo post voglio cercare proprio di dare una prospettiva al cambiamento, per fermarci un attimo a vedere cosa è cambiato in questi due anni, cosa è diventata un’abitudine e cosa pensiamo sia destinato (erroneamente) a tornare come prima. Suddivido gli spunti in tre sfere.
Relazioni personale, intrattenimento, tempo libero
- Internet e lo smartphone ci hanno aiutato a sentirci meno soli nell’isolamento forzato per l’emergenza sanitaria. Rischiamo però di abusarne ora che stiamo tornando a poterci frequentare faccia a faccia e a poter fare esperienze di persona. Lo schermo è un surrogato di esperienza e non l’esperienza.
- Il digitale ci permette di intrattenerci da casa. Il tempo passato nella visione di contenuti in streaming è aumentato notevolmente, come la disponibilità di contenuti originali e spesso esclusivi. I film hanno ridotto la finestra del passaggio al cinema, se non l’hanno saltata direttamente. Gli audiolibri hanno raggiunto 2 milioni di abbonamenti attivi (dati AIE). Lo streaming audio è ormai il modo in cui ascoltiamo musica, oltre alla radio. Il tempo passato su YouTube continua a crescere. Chi ci rimette è l’intrattenimento come esperienza: meno spettatori al cinema, meno spettatori per spettacoli dal vivo. Rischiamo di isolarci, per l’abitudine alla comodità.
- Una parte di noi è tornata prepotentemente all’esperienze dal vivo perché non ne poteva più di stare chiuso in casa. Un’altra parte importante della società, per prudenza o per comodità, ha deciso di continuare a vivere esperienze fisiche mediate dal digitale, dallo schermo: lezioni di yoga, esercizi con personal trainer, psicoterapia, conferenze, riunioni di associazioni no profit. Le attività che abbiamo trasferito sul digitale si sono moltiplicate. A volte con un guadagno netto: meno tempo per gli spostamenti, meno costi di trasporto, meno emissioni. In altre con una riduzione dell’esperienza: una lezione di yoga online non è la stessa cosa di una lezione in presenza, con un gruppo. Il tema diventa ancora una volta quello di usare la tecnologia come espansione di esperienze altrimenti scomodo o impossibili, senza che diventi un surrogato di esperienze più ricche e soddisfacenti in presenza.
Apprendimento, istruzione, scuola
- DAD è diventata una sigla entrata nel gergo comune. L’abbiamo sperimentata e ne abbiamo visto gli effetti negativi. Abbiamo capito che una lezione in presenza non ha lo stesso coinvolgimento e lo stesso effetto in termini formativi di una lezione mediata dallo schermo. Il problema in questo caso non è l’inefficienza della tecnologia, ma non aver compreso che una lezione frontale virtuale non è efficace se condotta come una lezione frontale in presenza. La mediazione dello schermo impone un diverso modo di condurre le lezioni e un metodo di insegnamento che non può rimanere lo stesso. Si deve aggiornare al nuovo mezzo. Quanti insegnanti si sono trovati e sono tuttora impreparati ad adattare il programma a questo nuovo scenario?
- Il livello di istruzione della scuola è sceso al punto da generare una reazione di rifiuto totale della DAD. Sono passati due anni e, oltre ad apprendere i rudimenti dell’uso di strumenti digitali che avremmo tutti dovuto già conoscere come cittadini digitali, il mondo della scuola non è stato capace di adattarsi al cambiamento. Il risultato è che la didattica della scuola (pubblica) ha perso ancora più terreno con l’evoluzione della tecnologia e della società. È necessario un ripensamento totale del modo di insegnare, ma il mondo della scuola, per l’età media e per la preparazione degli insegnanti, non è in grado di reagire. Vittima di logiche spesso sindacali che nulla hanno a che vedere con la qualità dell’insegnamento e l’interesse degli studenti ad acquisire la conoscenza utile a vivere nella società moderna.
- Non abbiamo mai avuto tante opportunità di apprendere come oggi. Chiunque lo voglia può iscriversi a corsi universitari tenuti in ogni lingua, anche nelle università più prestigiose, spesso gratis. Per chi vuole imparare, sviluppare nuove competenze, rafforzare quelle che ha già, non c’è mai stato momento migliore.
Lavoro e trasformazione digitale
- Smart working. A forza di dover lavorare da casa, milioni di lavoratori hanno capito che l’ufficio è utile, ma non nella forma che hanno sempre vissuto fino a prima della pandemia attuale. C’è chi ha capito che lo spazio vitale casalingo, soprattutto in presenza di figli in DAD, non era adeguato alle esigenze di concentrazione del lavoro. Altri hanno capito che non è necessario farsi due ore al giorno immersi nel traffico per svolgere attività che possono tranquillamente essere svolte da casa in modo più efficiente e produttivo. Se non tutti i giorni, almeno in alcuni giorni della settimana. Il modello vincente è un ibrido, in cui il lavoro in remoto diventa parte della routine lavorativa.
- Come per tante altre attività che abbiamo sperimentato con il digitale, serve equilibrio. L’ufficio e la presenza sono insostituibili per la condivisione e lo scambio di dee, soprattutto nelle pause in cui l’incontro delle idee è fortuito e casuale. L’ambiente casalingo, attrezzato e circoscritto, aiuta lo svolgimento di attività che richiedono concentrazione e aumenta la produttività. Le riunioni non necessarie prima, sono ancora meno necessarie se svolte in remoto. L’azienda cambia e migliora, se sa usare al meglio la tecnologia.
- La pandemia ha accelerato la trasformazione digitale, delle famiglie e delle imprese. Compriamo di più online, passiamo più tempo sugli schermi, collaboriamo senza doverci spostare fisicamente. Questa trasformazione non si può fermare né rallentare. Meglio accettarla e guidarla nella direzione che vogliamo. Abbiamo bisogno di sviluppare e rafforzare le nostre competenze. Ogni resistenza rischia soltanto di farci perdere tempo e farci scendere nella classifica internazionale della competitività.
Che ne pensi? Se dovessi guardarti indietro di due anni, com’è cambiata la tua vita in rapporto all’uso che fai della tecnologia?
Aggiornamento del 1/2/2022
Il contributo di questo articolo è stato oggetto di una intervista da parte della Tgr Marche RAI, andata in onda nei telegiornali del 31/1/2022. Ho caricato l’estratto a seguire:
Ti seguo da sempre (sebbene mi sia preso una pausa dalla blogosfera per qualche anno). Si vede che quando hai deciso il nome di questo blog all’epoca, c’avevi visto lungo su quello che sarebbe successo 😀 Scherzi a parte, condivido l’analisi ma temo che molti datori di lavoro si ostinino a non voler accettare i vantaggi del lavoro remoto o ibrido, per un arcaico attaccamento ai modelli antiquati o semplicemente per giustificare l’affitto dei locali aziendali o il mutuo che pagano per un edificio mezzo vuoto. E non solo in Italia. Io, qui in America, sono uno di quelli che passano due ore e mezza al giorno su treni ed auto per recarsi al lavoro e tornare. Da due anni lavoro da casa, e la mia produttività è aumentata non poco. Si, non tutti abbiamo il lusso di una stanza dove puoi chiudere la porta e lasciare che i figli in DAD urlino dall’altra parte della casa, ma è un prezzo ragionevole da pagare quando l’alternativa sono smog, stress, traffico e distrazioni da colleghi che hanno solo voglia di chiacchierare. Eppure anche qui molti si ostinano a volerci farci tornare alla vita di prima. Ignorando i tanti benefici che il lavoro remoto crea. Certo, non tutti i lavori si possono fare da casa, ma quelli che lo consentono, dovrebbero essere svolti in remoto.
Comprendo. L’Italia è spesso indietro in alcune dinamiche, ma i freni sono gli stessi che esistono in altri paesi. La PMI americana è arretrata e poco più avanti di quella italiana in termini di trasformazione digitale. Me ne sono reso conto in vari viaggi negli USA.
Gli interessi economici e il conservatorismo che frena il cambiamento è insito nel sistema. Ci sono sempre stati e continueranno a esserci: è parte della natura umana. Ciò non significa che l’avanguardia debba rinunciare a spingere.
Grazie del contributo
Sulla scuola sono d’accordo al 100%.
Sul mondo del lavoro, purtroppo, almeno nello Stato – di cui faccio parte – non si sono capite alcune cose, o conviene non capirle proprio per la “sindacalizzazione” cui accennavi.
Io, come Camu, ho enormemente beneficiato del ridurre i miei spostamenti quotidiani in termini di tempo, stress e monetari e sai bene quanto mi stia pesando ora questo modello che mi “obbliga” ad andare al lavoro 11 giorni al mese. Tra l’altro poi spesso resto 8 ore quasi da solo perché ci turniamo per non essere tutti presenti nei locali di lavoro, inficiando quell’aspetto di relazione sociale utile nel mondo del lavoro per tenere coeso il personale e dare un senso di appartenenza.
Insomma, nel mio caso, l’attuale approccio ibrido determinato dal Ministro della Funzione Pubblica è solo peggiorativo.