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Nuovi e vecchi libri, più un po’ di retorica a buon mercato e investimenti personali

Mai avrei immaginato che un libro sui cannibali, Bones and all di Camille DeAngelis, trasposto in un film da Luca Guadagnino passato a Venezia, potesse suggerirmi un libro per rafforzare il mio essere vegetariano/vegano. Eppure non è così strano, perché il libro, Cibo per la pace, è citato dall’autrice nei suoi ringraziamenti:

Quando chi sa che sono vegana scopre che ho scritto un romanzo sui cannibali (sui ghoul, in realtà, ma “cannibali” è più semplice), lo trova bizzarro, assurdo o entrambe le cose. Per dirla in due parole, credo che il mondo sarebbe un posto molto più sicuro se analizzassimo in modo lucido e onesto – sia in quanto individui sia in quanto società – la nostra abitudine a mangiare carne e le sue conseguenze ambientali e spirituali. A tal fine, vorrei ringraziare Will Tuttle, che col suo libro Cibo per la pace mi ha aiutata a chiarire il mio scopo durante la revisione di questo romanzo, e Victoria Moran – guida, amica e superstar vegana.

Bones & All

Tra l’altro anche l’incipit è curioso da farmi voglia di leggere tutto il libro

Penny Wilson desiderava in modo un po’ eccessivo avere un figlio tutto suo. O almeno io me la spiego così, perché doveva tenermi d’occhio solo per un’ora e mezza, e deve avermi coccolata un filo troppo. Immagino che mi abbia cantato una ninna- nanna, che mi abbia solleticato i piedini e le manine, che mi abbia baciato le guanciotte, che abbia carezzato la peluria soffice sulla testa, soffiandomi fra i capelli per esprimere un desiderio, come coi soffioni. I denti ce li avevo già ma ero troppo piccola per mandar giù le ossa, quindi mia madre al ritorno le ha trovate in un mucchietto sul tappeto del salotto.
L’ultima volta che Mamma l’aveva vista, Penny Wilson aveva ancora una faccia. So che si è messa a strillare, perché è quello che avrebbe fatto chiunque. Qualche anno dopo mi ha detto di aver pensato che fosse stata vittima di una setta satanica. In provincia aveva visto pure di peggio.
Ma non era stata una setta. In quel caso mi avrebbero rapita per farmi cose innominabili. E invece me ne stavo lì a dormire in terra accanto alla montagnola di ossa, con le guance ancora rigate di lacrime e la bocca impiastricciata di sangue. Già allora mi facevo schifo da sola. Non ricordo nulla di tutto questo, ma lo sento.
Pur notando i brandelli di interiora sulla mia salopette OshKosh, pur accorgendosi del sangue sul mio volto, mia madre non lo vedeva . Mi ha schiuso le labbra infilandomi l’indice in bocca – le madri sono creature coraggiosissime, e la mia è la più coraggiosa di tutte – e mi ha trovato qualcosa fra le gengive. Lo ha tirato fuori per capire cos’era. Era il martello dell’orecchio di Penny Wilson.
Abitava nel nostro stesso palazzo, dall’altro lato del cortile. Viveva da sola, faceva qualche lavoretto ogni tanto, ci sarebbero voluti giorni perché qualcuno si accorgesse della sua scomparsa. È stata la prima volta che abbiamo dovuto traslocare in fretta e furia, e mi chiedo spesso se già allora mia madre avesse presagito quanto sarebbe diventata efficiente. L’ultima volta che ce ne siamo andate, ha chiuso i bagagli in dodici minuti secchi.
Le ho chiesto di Penny Wilson non troppo tempo fa. «Che aspetto aveva? Di dov’era? Quanti anni aveva? Leggeva molto? Era gentile?» Eravamo in macchina, ma non eravamo dirette a una nuova città. Non parlavamo mai di quello che avevo fatto, subito dopo.
«Perché ti interessa, Maren?» mi ha chiesto con un sospiro, massaggiandosi gli occhi con pollice e indice.
«Mi interessa e basta.»
«Era bionda. Aveva i capelli lunghissimi, li teneva sempre sciolti. Era ancora giovane – più giovane di me –, ma non penso avesse molti amici. Era piuttosto taciturna.» Poi la voce di Mamma ha ripescato un ricordo che non voleva trovare. «Era così felice quando le ho chiesto se poteva tenerti d’occhio, quel pomeriggio.» Si è asciugata le lacrime col dorso della mano. Sembrava arrabbiata. «Lo vedi? Non serve a niente ripensare a queste cose, quando non possiamo far niente per cambiarle. Quel che è fatto è fatto.»
Sono rimasta un istante a riflettere. «Mamma?»
«Sì?»
«E con le ossa che ci hai fatto?»


Con mia grande sorpresa, ma forse non dovrei sorprendermi, Sperling & Kupfer ha prontamente tradotto Il tuo secondo cervello di Tiago Forte. Seguo l’autore da anni e sono a conoscenza del libro fin da prima che fosse pubblicato. Non l’ho ancora letto. Lo leggerò in italiano a questo punto. Tema fortemente correlato alla mia community, Saper Imparare.

Vogliamo discutere della copertina italiana, rispetto a quella dell’edizione originale?

Il salvagente? Metafora del salvataggio della memoria da parte del secondo cervello? Molto banale se questa è l’idea.


A proposito di copertine, trovo molto artistica quella di Solito di Javier Zamora:


Altra novità USA è un libro che critica l’intreccio tra Big Tech e mondo della finanza: Hegemony Now. Il dibattito culturale produce titoli su titoli sull’argomento, segno di come il vento sia cambiato.

Today power is in the hands of Wall Street and Silicon Valley. How do we understand this transformation in power? And what can we do about it?

We cannot change anything until we have a better understanding of how power works, who holds it, and why that matters. Through upgrading the concept of hegemony—understanding the importance of passive consent; the complexity of political interests; and the structural force of technology—Jeremy Gilbert and Alex Williams offer us an updated theory of power for the twenty-first century.

Hegemony Now explores how these forces came to control our world. The authors show how they have shaped the direction of politics and government as well as the neoliberal economy to benefit their own interests. However, this dominance is under threat. Following the 2008 financial crisis, a new order emerged in which the digital platform is the central new technology of both production and power. This offers new opportunities for counter hegemonic strategies to win back power. Hegemony Now outlines a dynamic socialist strategy for the twenty-first century.

Un altro titolo da leggere, se non fosse che nelle prossime settimane sarò letteralmente vagabondo, ai confini dell’Europa.


Chiudo con un ultimo titolo, opposto alla novità, ma ancora attuale a 50 anni dalla pubblicazione, circa. Si tratta di A spasso per Wall Street di Burton G. Malkiel. Un classico moderna della finanza personale, a ragione.

L’idea che qualcuno mi ha instillato tempo fa, non ricordo chi, né quando, del fatto che il miglior modo di investire sui mercati finanziari sia attraverso gli ETF, che replicano l’andamento degli indici azionari, probabilmente è figlio di questo libro. Sono a metà, prima ancora di arrivare alla parte più da usare, e l’autore smonta con dovizia di particolari l’approccio agli investimenti fondato sia sui fondamentali, sia sull’analisi tecnica, sia sulla prospettiva psicologica del mercato. Sul lungo termine niente permette di guadagnare di più della replica dei principali titoli del mercato.

Ciò significa, semmai ci fosse bisogno di dirlo, che il 99% dei contenuti generati per gli investitori e per i risparmiatori – grafici, analisi dei titoli, consiglio di acquisto/vendita, previsioni del mercato di qualsiasi fonte – non sono altro che spazzatura, più o meno ben confezionata, in maniera più o meno consapevole.

Nell’ambito più vicino al mio interesse ormai più che ventennale, relativo all’andamento dell’economia digitale e a cascata delle aziende tech, posso dire che col tempo mi sono accorto di vari conflitti d’interesse non dichiarati: blogger e giornalisti (Michael Arrington e il primo Techcrunch) che scrivono di startup di cui sono investitori, venture capital (Mark Andreessen) che twittano o bloggano o promuovono media online per sostenere un’agenda che influenza il valore dei titoli su cui investono, politici (Obama, per dirne uno) che si circondano di personaggi provenienti dalla Silicon Valley che orientano le politiche pubbliche in una direzione favorevole a Big tech. La stampa specializzata e finanziaria che organizza eventi sul tech, invitando gli stessi signori a diffondere il proprio verbo, spacciando il tutto per notizia. Ricordo che negli anni prima della bolla delle dotcom, raccontata anche nel libro, Business Week aveva un inserto periodico dedicato a internet pieno zeppo di pubblicità di startup appena quotate o in corso di quotazione. Sappiamo come è andata a finire.

Oggi non è la stessa cosa, ma il culto che abbiamo per alcune aziende e alcuni CEO, Apple o Tesla, Elon Musk o Jeff Bezos, non è molto diverso dal tifo da stadio, che niente ha a che vedere con un investimento ragionato. Idem per Bitcoin, su cui non voglio neanche entrare nel merito. Speculazione allo stato puro. Investimenti gestiti come il gioco d’azzardo. Per non parlare di aziende come Uber, che fino a oggi hanno generato 32 miliardi di dollari di perdite e che, secondo studiosi molto quotati, probabilmente non genereranno mai un utile perché hanno un modello di business che non è mai stato in piedi. Eppure l’azienda è quotata, ha ancora un valore sul mercato, inferiore alla quotazione, ma ce l’ha. C’è ancora chi ci spera.

In questo scenario fa piacere leggere che c’è qualcuno, poco interessante per chi ha l’interesse ha ottenere attenzione per vendere pubblicità – l’industria dei media in cui si salvano in pochissimi -, dice le cose come stanno e lo dice in realtà da decenni. Il titolo negli anni è stato aggiornamento numerose volte, Bitcoin inclusi.


Ho scritto questo lungo post, con la divagazione sulla finanza personale, per lasciare una traccia di come le mie giornate siano di fatto immerse nei libri. Libri letti, libri da leggere, libri che non riuscirò mai a leggere. Libri di finanza personale, romanzi cannibali, memoir di immigrati, saggi per riorganizzare la conoscenza personale e potrei continuare nella varietà di titoli in cui mi imbatto e mi appassiono, che consiglio e che condivido privatamente con amici e in community private. Per questo mi stupisco quando sento di chi di libri neanche ne parla mai. Non solo non li legge, non ha l’energia mentale per andare oltre poche pagine a fine giornata, non ne conosce l’esistenza, non sente l’esigenza di andare oltre l’approfondimento di un video su YouTube o di un contenuto social effimero. Eppure questi stimoli, questa conoscenza, anche senza conoscere altre lingue, sarebbero a portata di pochi click, spesso senza neanche la barriera del denaro necessario ad acquistarli. Non solo c’è la pirateria, ma ci sono le biblioteche pubbliche, anche digitali.

Retorica, Luca, che non interessa a nessuno. Smetti di concionare, chiudi il post e torna a leggere su come organizzare i tuoi investimenti. Sì, quelli che ti permettono di stare qui a scrivere invece di pensare a lavorare. Ok. la chiudo qui.

Published in Formazione permanente