La parola che ho scelto per definire il mio 2023 è incertezza.
Incertezza da tenere sempre presente, anzi, da cavalcare. Non qualcosa da percepire come preoccupante, spaventoso, temibile, negativo, ma qualcosa di inevitabile, sfidante, gestibile. Un approccio completamente diverso a quello dei più. L’incertezza è parte della vita e il 2023 ci metterà ancora di più alla prova, considerando le premesse.
La congiunzione di inflazione, aumento dei tassi, scorte e prezzo del gas ci porteranno dritti dritti in recessione. Credito meno facile, contrazione dell’economia, riduzione delle opportunità e dei posti di lavoro. Niente di drammatico o mai visto prima, ma certo uno scenario diverso da quello degli ultimi anni. Il Governo italiano dovrà fare i conti con spesa per il debito in crescita e spread in salita, ovvero con più uscite e probabilmente meno entrate per un rallentamento dell’economia, con politiche economiche che non potranno più essere espansive, perché i soldi non ci sono più.
Sul piano personale sono stato sempre un pianificatore, sia per gestire al meglio il gestibile, sia per minimizzare il rischio e l’incertezza. Continuerò a farlo, ma aggiungerò la consapevolezza, quasi come un mantra, che le decisioni che prendo hanno sempre una quota di informazione mancante che rende il risultato incerto o meno certo, anche quando non so della mancanza di queste informazioni o di avere informazioni che non sono esattamente quelle corrette. Per non parlare della necessità, per alcune decisioni, di contare su soggetti terzi che non sempre sono prevedibili fino in fondo. Aspettarsi che non tutto vada come ci aspettiamo diventa quindi quasi prevedere qualcosa che succederà, non sappiamo come, al 100%.
A tutto ciò è necessario aggiungere, per completare il quadro emotivo, un atteggiamento di monitoraggio attivo, con uno spirito e un animo leggero. La sfida è giocare con le carte che hai in mano, qualsiasi esse siano, e dare il meglio di ciò che puoi dare. Il resto, incluso il risultato finale, conta poco o nulla. L’incertezza, da questo punto di vista, diventa qualcosa da cavalcare, come un toro da rodeo, per ciò che puoi, fin che puoi, per poi rialzarti, risalire e ricominciare, cercando di stare in sella per più tempo, sempre divertendoti e senza lasciarci l’osso del collo.
Da un articolo della newsletter di Timothy Burke ho scoperto Helga Nowotny e il suo libro sull’incertezza che non posso non leggere al più presto. Seguono dei passaggi che ho sottolineato dallo stesso articolo.
The medieval European understanding of liberal education, based partially on a reinterpretation of classical ideas, asserted that elites needed an open-ended education based on the trivium and quadrivium (grammar, logic, rhetoric, arithmetic, geometry, music and astronomy) because as rulers, they would face complex and unexpected problems
It’s possible we could decompose “critical thinking” to far more specific epistemological and methodological commitments in various academic disciplines: the scientific method, thought experiments, close reading, etc. and get a better account of how to teach skepticism, provisional truth-making, and so on.
I believe in what Helga Nowotny calls “the cunning of uncertainty” and accept her argument that everyone—rich and poor, college-educated in a liberal-arts curriculum, or high-school educated in a trade, can and should cope with that cunning. By “cunning”, Nowotny means that uncertainty is an irreducible part of human life and the physical universe, and that we should follow where it leads us
I also believe in what the economist John Kay has called obliquity: that in a very concrete and empirical sense, many of our most cherished goals and values are only achievable if we do not try to achieve them directly. Tell me you want to be happy in life, and I will, following Kay, tell you that you should not try to be happy. That the road to happiness involves a long detour through uncertainty.
The uncertainty and instability of those markets is a product of the credulous and wholly ideological celebration of “creative destruction” and “disruptive innovation” by the oligarchs of our present American moment
The proposition that training for uncertainty means accepting the need to change everything about your skills, values, desires, aspirations and material situation at a moment’s notice not because you wish to change but because a few people with extraordinary wealth and power have almost incidentally destroyed everything about your status quo is not the cunning of uncertainty but the craft of exploitation and domination