Un post sullo stesso argomento pubblicato un anno fa mi ha spinto ad andare a controllare gli ultimi dati, che seguono:
Di considerazioni se ne possono fare parecchie.
Il calo in percentuale è per quasi tutti i giornali lo stesso di un anno fa. La Stampa è calata meno e Il Messaggero di più. Gli altri tendenza simile, con la variante che La Verità non cresce più e Libero ha invertito la tendenza.
Notare come La Repubblica sia scesa sotto 79.000 copie al giorno, che in realtà sono almeno 10.000 in meno nei giorni in cui la vendita non è supportata dall’abbinamento dell’Espresso e del Venerdì di Repubblica: del resto è una media.
Il Sole 24 Ore è sceso sotto le 25.000 in edicola. Vende poco più di molti giornali locali/regionali.
Sì, la diffusione complessiva, che serve a valutare l’impatto pubblicitario per gli inserzionista, scende molto meno, ma il motivo è semplice: molte copie, digitali e cartacee, vengono svendute a prezzi molto più bassi del costo della singola copia, vendute in blocco ad aziende. Va da sé che molte di queste copie non vengono neanche sfogliate, men che meno che lette.
Sul piano del business è evidente che l’editoria periodica galleggi, cercando di estrarre un minimo di valore da un prodotto ormai decotto. Gli investimenti digitali di tali aziende non stanno al passo della fuga del pubblico verso il digitale, per un ritardo cronico, e quindi il calo dei ricavi, dell’influenza e dell’autorevolezza continua senza sosta, anno dopo anno.
Prevedibile quindi un ulteriore calo della qualità, un calo dei lettori, un calo dei ricavi, un calo degli investimenti, fino a mantenere una posizione sulla carta che è una frazione minima di ciò che era solo 10 anni fa, lasciando le attività digitali a supportare quel che resta di redazioni e professionalità. Più qualche contributo pubblico – i giornali servono per la democrazia, anche se dovrebbero essere più indipendenti di quanto lo siano oggi – e qualche contributo forzato fatto sganciare da Big Tech. Briciole che non cambiano la qualità ma che convincono gli azionisti a non chiudere tutto, mettendosi qualcosa ancora in tasca.
Il resto dell’editoria digitale è nicchia. Numeri in crescita, per carità, ma Fanpage.it o Il Post non hanno nulla dell’autorevolezza e della capacità che avevano Corriere della Sera o La Repubblica 20 o 30 anni fa. Si divertono e vivono, se non sopravvivono. Punto.