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La crisi dei giornali

Da tempo pensavo di offrire la tribuna di Pandemia ad altri blogger ospiti, che stimo e apprezzo, per farli conoscere meglio, rimanendo nell’ambito dei temi soliti di questo blog: Internet, media e tecnologia. Simone Tornabene è il primo nome della lista. Il tema che ha scelto per il suo intervento è relativo alla crisi dei giornali.

Simone Tornabene, Web Strategist, appassionato di filosofie orientali, cultore del caos creativo. A tempo perso blogger su WebGarden.

La crisi


La crisi per i giornali è un dato di fatto tangibile in almeno due dimensioni: il numero di copie acquistate e gli introiti pubblicitari. La principale fonte di sostentamento di un giornale è infatti legata a queste due dimensioni: chi acquista le copie e chi paga per farne un veicolo pubblicitario. Il giornale è quindi un mediatore: rispetto a chi acquista la copia, il giornale è un mediatore dell’informazione (racconta storie), rispetto a chi acquista pubblicità il giornale è un mediatore di mercato: raggiunge potenziali consumatori. 

L’avvento di internet ha scardinato questo meccanismo su tre principali direzioni: a) Il tempo b) La concorrenza c) la tracciabilità e d) la cross-medialità.
Il giornale è stato per decenni il mediatore ottimale. L’avvento della televisione ha mutato le cose, ma non ha seriamente messo in crisi i giornali perché i due media competono grossomodo su terreni differenti. 

Con Internet è differente. Innanzitutto perché ha reso possibile un abbattimento spropositato dei tempi. Il real-time è sempre più la norma e le informazioni viaggiano da un capo all’altro del pianeta a velocità mai pensate. In questo quadro la catena tradizionale che fa passare la notizia dal territorio, all’agenzia di stampa, alla redazione ha perso di significato, indebolendo la posizione del giornale che informa una volta al giorno. 

La seconda dimensione di sfida è la concorrenza. Internet rende possibile un modello di interazione reticolare in cui la gerarchizzazione e la specializzazione funzionale annegano. Niente più produttori né consumatori ma prosumer: tutti noi consumiamo e produciamo informazione contemporaneamente! Qualsiasi spazio per i mediatori che basano la loro forza sulla difficoltà di accesso al bene mediato, viene meno. Si realizza una concorrenza folle in cui il blogger pakistano, la casalinga del voghera e il New York Times si contendono il primato della notizia.

Internet ha poi reso tutto tracciabile. Posso sapere cosa il lettore preferisce, dove passa più tempo, l’esatta successione dei contenuti con cui interagisce. Posso chiedergli cosa ne pensa! Perché dovrei pagare uno spazio pubblicitario sapendo solo che verrà mostrato probabilmente a un numero aggregato di persone, quando posso pagare per comunicare più specificatamente alle persone a cui voglio presentarmi? Sapendo poi se e come hanno gradito il mio messaggio.

Su Internet come media definitivo e onnivoro, in grado di fornire accesso cross-mediale a contenuti video, audio e testuali si è detto molto. Che il suo potere come enorme memoria collettiva e fonte di informazioni sia notevolmente superiore a quella dei giornali, è una constatazione lapalissiana.

E se cambiassimo prospettiva?


Fin qui sappiamo che la crisi è tangibile e reale e sta minacciando la sopravvivenza dell’editoria cartacea. 
Da qui proviamo a cambiare prospettiva: la crisi è un male?

La mia vuole essere solo una provocazione per rompere l’associazione automatica crisi = male. La crisi è una saturazione, una situazione in cui l’equilibrio che ha funzionato precedentemente non funziona più. La crisi è una piccola morte, o una grande minaccia di morte. Ma quello che il bruco chiama morte per il resto del mondo non è che una farfalla.

Se ‘crisi’ in sé non ha un valore negativo, non ha neppure un valore positivo. ‘Crisi’ è un foglio bianco, a noi l’onere di dargli un contenuto. Significa che la crisi è solo un punto di rottura che porta da un equilibrio (inteso come configurazione specifica di opportunità-costi) ad un altro. I protagonisti del precedente equilibro non lo saranno necessariamente anche del successivo.

Il primo passo è quindi essere consapevoli, prendere coscienza che ogni fine è anche un inizio. Barricarsi alla strenua difesa disperata di un equilibrio che naturalmente è destinato a mutare  come se il mutamento fosse qualcosa di arrestabile, non è un approccio sano. Tutto muta (panta rei) in universo dove nulla si crea e nulla si distrugge ma – appunto – tutto si trasforma. Se il mutamento non è una variabile ma la costante, siamo forse in balìa di qualcosa su cui non abbiamo alcun controllo? La risposta ci viene da una cultura millenaria che ha imboccato con successo la strada del ‘tutto muta’. Per i cinesi il mutamento non è controllabile ma navigabile. Userò qui la metafora della barca a vela: non possiamo sapere né decidere dove il vento deve soffiare, ma possiamo dirigere la nostra barca dove vogliamo se conosciamo il vento

Capire il mutamento significa poi convertire il potenziale di questa comprensione nella cinetica di un intervento che ci traghetti da un equilibrio all’altro attraverso la crisi. E’ qui che la crisi diventa un’opportunità anche per migliorare la propria posizione di forza. Ma non è un processo automatico, e qui entra in gioco la strategia. 

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One Comment

  1. E’ proprio così, non mi curo molto della crisi dei giornali ma della crisi in generale. E’ un’ottima opportunità che farà selezione e probabilmente chi le resisterà, una volta passata, otterrà grandiosi risultati. Ma quanto è dura a volte!!!

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