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Licorice pizza e il giornalismo del nulla

Non mi diverte più l’esercizio di prendere in castagna i giornali e i giornalisti, ma con Licorice pizza faccio un’eccezione. Sono un cinefilo di prima categoria, vado spesso al cinema, amo il cinema d’autore e Paul Thomas Anderson. Fatta questa premessa, ho già visto Licorice pizza, che esce al cinema in Italia domani. Non mi è piaciuto, nonostante la critica che lo piazza all’11esimo miglior film dell’anno e le 3 nomination all’Oscar 2022 che rischiano di trasformarsi in statuetta.

Per capire cosa ci hanno visto gli altri che non ci ho visto io, sono caduto in due articoli, uno uscito su Robinson di Repubblica e uno su Domani.

Domani del 16 Marzo

L’articolo su Domani di oggi occupa una pagina intera ed è una recensione. Una recensione entusiasta che non dice nulla. Come il film. Il pregio del film sarebbe il fatto di essere molto vero e poco filmico: acne sul volto del protagonista, pancetta prominente a 15 anni, scene di famiglia come in una vera famiglia (gli attori sono tutti della stessa famiglia in effetti). Questo è cinema di qualità? Una sorta di documentario di finzione? Come per Belfast (e in parte per È stata la mano di Dio), sono dell’idea che le operazioni autobiografiche dell’infanzia (o dell’adolescenza in questo caso) del regista non necessariamente sono inutili. Evocative per il regista e per chi ha vissuto quell’epoca, come i critici, o che la rimpiange o la mitizza, quelli nati dopo, ma per tutti gli altri poco significative. Per niente significative. Non glielo auguro, ma scommetto sarà un fiasco, soprattutto fuori dagli USA. Non scommetto su nessuna statuetta e, se le vincesse, sarebbero poco meritate.

Non posso non stigmatizzare poi l’intervista di Robinson a P.T. Anderson, in cui si parla ancora una volta del nulla. Definirla un’intervista in ginocchio è fargli un complimento. Semplicemente promozionale. Punto. Io dovrei comprare e leggere un giornale per trovarmi due pagine di intervista/promozione, pura e semplice. Zero notizie, zero approfondimento, zero riporto zero.

Poi ci sarebbe da fare un ragionamento a parte sul nostro idolatrare Hollywood e di rimando Los Angeles. Cosa c’è di mitico, io non lo comprendo. Soprattutto nella Los Angeles di un film come Licorice pizza. Siamo una colonia culturale, esagero di proposito, e siamo anche felici di esserlo. Solo perché si parla di Los Angeles, ce ne interessiamo. Peccato/Per fortuna che il mondo sia in realtà molto più vasto.

Il cinema internazionale, se non fosse per l’egemonia culturale di cui siamo ormai succubi, è molto più vario, interessante, stimolante, intelligente della maggior parte delle produzioni americane, incluse quelle indipendenti. Vedi La peggior persona del mondo, Norvegia, o Flee, coproduzione danese, in sala in questi giorni e che quasi nessuno è andato a vedere, purtroppo.

Basta prendere i film premiati dai festival europei – Berlino, Venezia, Cannes – o i vincitori dell’EFA o di qualche altro festival extraeuropeo per avere una guida di visione senza troppi sforzi. Poi sì, bisogna stare attenti alle date di uscita e alle piattaforme in cui atterranno (Mubi è una garanzia), perché certo di questi film se ne parla un minimo quando escono nei festival, ma poi si perdono quando escono al cinema o altrove. Bisogna darsi da fare se non vuoi vedere quello che vedono tutti e pensare quello che pensano tutti. I giornali ci aiutano poco in tal senso, perché anche nella migliore delle ipotesi, privilegiano lo star power e l’americanità come patente di qualità e di popolarità verso il grande pubblico. Occasioni perse.

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