Skip to content →

Intervista sul giornalismo digitale

giornalismo digitale

Nel volume Giornalismo digitale di Davide Mazzocco trovi una mia intervista sul tema, riporta in chiusura. Se ti occupi di giornalismo online, il libro merita attenzione, come già scritto.

Se vuoi leggere cosa ho detto a Davide, segue il testo dell’intervista.


1. Quale ruolo hanno avuto i blogger nello sviluppo del giornalismo digitale degli ultimi dieci anni?

Hanno senz’altro contributo a stimolare i giornali e i giornalisti a dedicare maggiore attenzione alle opinioni espresse in rete. I blog sono stati il primo strumento di espressione dal basso su internet alla portata di chiunque. Questo fenomeno ha permesso, per chi lo ha saputo cogliere, di ridurre la distanza tra lettore e giornale e di migliorare il prodotto giornalistico.

2. Quali sono i punti di forza e quali i punti deboli della blogosfera nel nostro Paese?

I punti di debolezza non sono pochi. I blog con ambizione giornalistica o volti a partecipare alla formazione dell’opinione pubblica non sono poi così numerosi purtroppo. Il dibattito generato poi è di fatto il commento all’agenda dettata dai telegiornali e dai giornali. Raramente il dibattito originale dei blog è in grado di influenzare l’agenda degli altri media, cosa che non succede con la stessa proporzione in altri paesi più evoluti. Altro limite è il provincialismo. Le news internazionali riportate sono la traduzione di pochi altri blog di lingua inglese, sempre gli stessi, e la produzione originale è relativamente limitata. Ci si perde spesso in un bicchier d’acqua e il dibattito sull’influenza degli influencer è uno dei tanto esempi che potrei fare. All’estero si parla dei contenuti, senza personalismi. Punto di forza è la ricca umanità che vi si trova dentro. Ci sono diverse categorie probabilmente sottorappresentate, ma con i blog oggi si ha uno spaccato della società interessante da seguire e con cui conversare, dagli imprenditori ai giornalisti, dai politici ai ricercatori, dagli economisti agli insegnanti. C’è cibo per la mente, a saperlo trovare.

3. Nonostante l’apertura a un giornalismo crossmediale, le versioni online dei quotidiani cartacei sembrano essere ancorate alle logiche del passato. Alcuni, addirittura, fanno un breve lancio delle notizie rimandando al testo integrale che comparirà sul quotidiano del giorno dopo. Come spiega questo conservatorismo?

Una ragione senza dubbio è legata al modello di business. La carta rende ancora abbastanza da consentire che il web sia considerata una vetrina per vendere il giornale. Il problema vero però sono gli investimenti verso il futuro e le competenze espresse nelle redazioni. Gli investimenti languono, perché si vede il web come un terreno promettente ma ancora poco redditizio. In redazione l’età media è elevata e prevale ancora l’atteggiamento del “tanto vado in pensione presto” per far sì che il giornalista medio considera il web come una scocciatura e non come una opportunità di realizzare un prodotto migliore e avere un rapporto più diretto con il proprio pubblico. Sto generalizzando e certamente ci sono moltissime eccezioni. Basta però prendere qualsiasi grande testata italiana, contare quanti giornalisti sono su Twitter, da quanto tempo e con quale risultato, per avere una piccola cartina al tornasole di come il giornalismo italiano non sia ancora allineato con quello dei paesi più sviluppati

4. Secondo alcuni studi esiste una netta differenza nella tendenza alla condivisione tramite i social network fra i lettori di siti di informazione nativi digitali e i lettori fedeli alle versioni online di quotidiani cartacei. Perchè?

Semplicemente perché i primi sono attivi sui social network, parte della conversazione e – bisogna dirlo – con valori assoluti di traffico e visite infinitesimi rispetto ai secondi. Nei grandi giornali c’è un pubblico più vasto, che comprende anche utenti meno esperti e meno attivi sui social network. In media ci sta quindi che il loro pubblico condivida meno rispetto agli altri concorrenti più giovani e agguerriti sul fronte social.

5. Twitter, Facebook, Youtube, Google +, Pinterest: quali contributi possono dare questi social network allo sviluppo di un sito di informazione online?

Un contributo diverso rispetto alle funzioni, alle dinamiche e alle caratteristiche di ognuno di questi. Twitter è indubbiamente quello che si presta di più per raccogliere notizie e stimolare un pubblico mediamente più attento all’informazione. Facebook è la piazza dove strillare le notizie e coinvolgere il pubblico generalista, considerando che quasi tutti i navigatori italiano hanno un profilo personale su questo network. Google+ ha le stesse potenzialità di Facebook, ma è presto per dire se riuscirà a ritagliarsi uno spazio autonomo. YouTube è la vetrina dei contenuti video. Pinterest è uno spazio dove sperimentare forme di coinvolgimento legate alle immagini. Allo stato attuale è difficile dire se in Italia sia già imprescindibile: i numeri dicono di no, ma tra un anno potrebbe essere diverso.

6. Quali sono, secondo lei, le testate giornalistiche italiane che ottimizzano al massimo le potenzialità contaminanti e osmotiche del web?

Repubblica è leader nel traffico e, con un po’ di ritardo, ha capito cosa fare quasi in tutte le piattaforme. Rispetto ai suoi omologhi El Pais e Guardian ha grande margine di miglioramento, ma non è così indietro. Il Fatto quotidiano, con risorse limitate, è stato senza dubbio uno stimolo per Repubblica, anticipandone le mosse, grazie al fatto di essere un nuovo entrante. Su scala più piccola vale lo stesso per Il Post, grande anche al fatto che il suo direttore conosce il mondo dei blog da più di 10 anni ormai.

7. Quali strategie consentiranno la sopravvivenza della stampa cartacea?

Una riduzione dei costi e quindi dei giornalisti, integrando il prodotto cartaceo con il prodotto per il web e le piattaforme digitali, cambiando ragione di essere. Non più un giornale omnibus con tutto e nulla, ma un prodotto più volto all’approfondimento e al ragionamento, meno alla cronaca del giorno prima e alle news come merce, diffuse invece naturalmente sul web, grazie al tempo reale dell’aggiornamento minuto per minuto

8. Creare un progetto editoriale capace di sostenersi economicamente producendo contenuti di qualità sembra quasi una missione impossibile. Quali sono, secondo lei, le vie per rendere lucrativo il giornalismo digitale?

Se lo sapessi fonderei un giornale online. Scherzi a parte, il bacino ristretto della pubblicità in Italia e il limite della lingua fanno sì che la massa critica necessaria sia difficile da raggiungere. Con lo sviluppo graduale del mercato della pubblicità online, probabilmente diverranno sostenibili giornali online tematici su settori potenzialmente ricchi di pubblicità verticale e dall’altro, con lo scioglimento dell’iceberg della pubblicità locale, anche il giornalismo locale su bacini metropolitani potrebbe diventare sostenibile. Scelti i temi, è indispensabile pensare il giornale in chiave community, producendo non solo notizie, ma fidelizzando un pubblico sempre più numeroso da coinvolgere in modalità diverse, come eventi o altri prodotti collaterali, così da generare ulteriori ricavi. Non è facile, ma è una sfida da cogliere, meglio ancora se in chiave internazionale

Published in Media & Social media