Testo tratto da Utopie minimaliste di Luigi Zoja, pubblicato da Chiarelettere.
Invece che a rispettare le persone, come vorrebbe la natura dell’essere umano, l’insieme cieco della società mercantile ci educa ad ammirare il loro successo: non tanto quello reale, ma quello immaginato osservando i consumi che esibiscono. L’«obbligo» al consumo, e lo spreco che ne è una conseguenza, è un Leviatano, responsabile di immense distorsioni economiche ed endemiche patologie psichiche, che si è insinuato poco alla volta nelle nostre vite. Avremmo potuto notarlo e fermarlo? Ci sembra che, quando ce ne siamo accorti, fosse ormai cosa fatta. Ma forse certi segnali minimalisti avrebbero potuto far suonare un allarme.
Per la gioventù italiana, il fatto che il consumismo fosse entrato in una nuova era venne impercettibilmente rivelato dalla pizza.Benché prima delle pizzerie esistessero infinite trattorie popolari, in Italia mangiare nei locali pubblici era un’eccezione, per motivi economici ma anche per l’austerità delle tradizioni. Con l’arrivo dei consumi di massa divenne invece un diritto, e presto una necessità: che si impose anche fra i giovani, i quali ne erano rimasti esclusi per motivi gerarchici oltre che per mancanza di redditi. Mentre le tradizionali trattorie si trasformavano in locali di lusso, per loro si diffuse la pizzeria, che dovrebbe sfamare a cifre tollerabili. In pratica, una volta impostosi il rito della pizza settimanale in gruppo (cui il singolo si sentirebbe imbarazzato a non partecipare) i prezzi delle sue porzioni e delle bevande che la accompagnano continuavano ad aumentare in un modo che le estinte trattorie famigliari avrebbero considerato inaccettabile.
Lo scontro economico tra gestori di pizzeria e ventenni era inevitabile: i primi inventavano pizze fantasiose per venderle a prezzo più alto, i secondi spesso rinunciavano alla birra tornando all’acqua. Malgrado la necessità di risparmiare sul pasto, nacque però una nuova abitudine, prima sconosciuta persino nei ristoranti di lusso che servono pizza: si cominciò a scartarne il bordo esterno, quella parte su cui non è posato né pomodoro né formaggio.
Questa crosta è praticamente identica all’impasto principale: è solo un poco più croccante, quindi in genere più buona. Paradossalmente, durante il pasto si inghiotte per abitudine anche qualche pezzo di pane (insapore e prodotto industrialmente, a differenza della saporita pizza, preparata e cotta al momento), che in Italia è già disponibile sul tavolo. Eppure, gran parte dei commensali ha continuato ormai definitivamente a decorticare la pizza: anche fra i giovani che, nella endemica disoccupazione, fanno sacrifici sempre maggiori per uscire a mangiarla assieme.
Una volta che è entrato nel costume un consumo, e lo spreco che è il suo corollario lungo la china dell’assurdo, l’individuo non possiede quasi più la libertà di eliminarlo. In altre parole, viene inconsciamente considerato parte delle «necessità» che abbiamo descritto nel capitolo Il disagio del contribuente, anche se non è affatto necessario.