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Lo snobismo della A-List

L’Italia, non è una novità, soffre di un divario culturale, prima ancora che digitale, sotto gli occhi di tutti e non in cima all’agenda dei problemi dei nostri amministratori. Ciò che mi rattrista è che gran parte dell’avanguardia digitale si lamenti, critichi, per avere molto spesso poi (non sempre e non tutti) un atteggiamento snobistico verso i nuovi arrivati nella parte abitata della rete. E’ successo prima per i blog, poi per Facebook, oggi con Twitter e domani con qualche altro social network. Snobismo legittimo, che non aiuta a cambiare lo status quo e a rendere la rete e il digitale il grimaldello per aiutare l’Italia a ridurre la distanza (ed evitare il declino) con il resto dei nostri vicini europei.

Giorni fa mi ha colpito un post scritto da Loic Le Meur, imprenditore francese traslocato a San Francisco e molto attivo da sempre su blog e social network. Nel post, con un po’ di autoironia che non guasta mai, Loic racconta come il salotto buono della Silicon Valley (investitori, imprenditori, autori e giornalisti) sia traslocato su Path, social network più intimo che consente fino a 150 amici massimo. Il tono è scherzoso e leggero, ma dalle sue parole traspare comunque una insofferenza nei confronti della massa di utenti arrivata su Facebook e Twitter.

Un fenomeno simile è avvenuto in Italia nelle ultime settimane, con l’aumento della popolarità di Twitter tra i giornalisti, sui giornali, in tv, tra i personaggi noti della tv e non solo, attirando nuovo pubblico e nuovi utenti. Più di uno ha gridato all’invasione, cercando riparo altrove. Dove? Google+ è il candidato, ma una riserva indiana italiana ha già seguito tempo fa la stessa diaspora, passando da Twitter a FriendFeed, dove ancora oggi restano in *pochi ma buoni*.

Scoperti i benefici dei social network e della conversazione online, denunciata l’arretratezza dell’imprenditoria e del governo nell’adozione di questi strumenti per il bene comune (più lavoro, più partecipazione civica, più controllo dell’amministrazione), perché voler rimanere in pochi e rifiutare, invece di incentivare, la massa ad adottare gli stessi strumenti, così da renderli parte della quotidianità di ognuno e aumentare la massa critica che fa la differenza in termini di investimenti sull’economia digitale e sulle ricadute conseguenti? Non lo capisco.

Se ci troviamo in questa situazione – ognuno deve farsi carico delle propria quota parte di responsabilità – è anche grazie al salotto buono digitale che preferisce autoisolarsi e puntare il dito, invece di dare un contributo ad aiutare gli ultimi arrivati nella piazza digitale a capire come trarre il meglio e fare lobby tutti insieme per una adozione su larga scala delle tecnologie di cui sopra. Con questo atteggiamento il divario culturale non si ridurrà mai, anzi, e internet verrà usata (se non lo fosse già) come una nuova televisione, certo con più canali ma con analogo approccio passivo.

Non è necessario essere tutti attivisti digitali (online e offline), ma se si vuole restare nel proprio cicrcoletto, mi si risparmi almeno la retorica, l’adesione all’agenda digitale e ad altre iniziative destinate ad avere impatto zero (come si è dimostrato in questi anni), senza la partecipazione della massa degli ultimi arrivati.

Nota a margine

Ognuno usa i social network che preferisce, nel modo che preferisce, producendo e promuovendo i contenuti che meglio crede, condividendoli con chi vuole. Non c’è una piattaforma buona e una meno buoni, una di bravi e una di cattivi. Usa pure Facebook, Twitter, Path, Google+ o il social network che preferisci insieme a chi vuoi. Non sto qui a sindacare scelte personali, me ne guardo bene. Migrare altrove per l’arrivo della massa, permettimi però, con gli strumenti di filtro che ogni piattaforma rende disponibili, fa sorridere.

Published in Media & Social media

6 Comments

  1. Ciao, ottima riflessione e ottimo spunto per una buona discussione. Io credo che forse non si tratta solo di snobbismo ma anche di sentirsi diversi, originali e sempre di tendenza. Facebook ormai è conosciuto da tutti, bene allora vado su twitter, ops ma anche qui ormai lo usano tutti… mmm allora li frego e uso Gplus cosi sarò il primo e via dicendo…per poi tornare a Facebook quando tutti saranno su Gplus… un po’ come accade per i locali e i luoghi “reali” di incontro e condivisione.

  2. Hai ragione.

    Lessig qualche giorno fa ha dato una ripassata solenne a una giornalista che lo intervistava sui rischi di Facebook ma… usa Facebook. Se Lessig (o chiunque altro snobba facebook ) avesse ragione o no credo che dipenda, per ognuno, dal VERO motivo per cui usa Facebook. Se è per chiacchierare con gli amici, probabilmente è meglio andarsene.

    Se è, come nel mio caso, per interessare anche gli ultimi arrivati ad agenda digitale e temi simili, credo che non ci sia altra scelta che farlo (anche) stando su Facebook. Altrimenti come li raggiungi, quei tantissimi ultimi arrivati che usano il computer solo per Facebook e non leggono mai, ma senza i quali non cambierà nulla in tempo utile? Andando porta a porta?

  3. Sara Faucci Sara Faucci

    Articolo molto interessante, osservazioni che condivido pienamente. La forza di questi strumenti sta proprio nella condivisione, nella partecipazione, nella capacità di coinvolgere; l’arrivo di un maggior numero di persone dovrebbe essere considerato come un’occasione di arricchimento sia della conversazione in se che dei contenuti. Con la possibilità appunto di scegliere quali seguire e quali condividere. Migrare da un social ad un altro per poter mantenere quest’idea di esclusività mi sembra contrario al senso della rete nonché solo la ricerca di uno spazio un po’ autoreferenziale.

  4. Condivido quanto esponi. Ma, pur non essendo parte di un’élite, a volte avrei la necessita’ di scrivere e interagire con chi mi pare o con una cerchia, invece di dovere scrivere pubblicamente e rischiare il 50% (quando va bene) di “rumore”, ossia i soliti “great article!” o “it sucks”, che a mio avviso sono una seconda forma di spam. 

  5. Beh, settando le impostazioni presenti in ogni social, si può tranquillamente interagire con pochi senza esporsi troppo. E’ effimero comunque, trattandosi di “vetrine” più o meno diffuse, pretendere la non esposizione, se qualcuno vuol divulgarti, si fa un belcopia-incolla di ciò  che dici: 🙂 

  6. Il problema non e’ l’esposizione in se’, ma l’esposizione a chi potenzialmente può lasciare commenti tanto per lasciarli, senza contribuire per nulla alla discussione. Più che a vetrine io penso appunto a cerchie. Ben venga chi vuole divulgare, di sicuro non crea “rumore”, come chi scrive un commento tanto per scriverlo.

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