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Il futuro dell’informazione? Citizen dentist insieme al giornalista professionista

Non solo il dibattito culturale italiano sull’economia del web, l’evoluzione del giornalismo, le riforme economiche e sociali è indietro di anni rispetto a quanto avviene oltre confine in Europa, neanche negli USA, ma da più parti c’è il tentativo di frenare il cambiamento arroccandosi in battaglie di retroguardia. Ultimo caso l’iniziativa di Repubblica.it per incentivare, selezionare, coltivare, formare lettori desiderosi di dare un contributo alla costruzione delle notizie.

L’iniziativa, appena lanciata, è stata presa di mira con determinazione da giornalisti professionisti, più o meno precari o sistemati, fino a scatenare le ire del comitato di redazione del giornale, che tuona contro con toni che raramente ho letto, pur con aperture di facciata che non cambiano l’opposizione al progetto. In sintesi, brutalizzo e banalizzo, i detrattori del progetto ne chiedono una sospensione perché non esistono scorciatoie al giornalismo di qualità, che deve seguire certi percorsi formativi e che deve rispondere ad una certa deontologia. FNSI schierata dalla stessa parte.

Niente da eccepire, se non che tali soggetti sembrano vivere in un altro mondo che non è né quello di oggi, né quello che ci aspetta domani. I lor signori forse non si sono accorti che le copie diffuse dai giornali per i quali lavorano o vorrebbero lavorare, tutelati e garantiti con tutti i benefici del contratto giornalistico, sono in costante calo, più o meno drammatico. Si sono accorti invece che senza il finanziamento pubblico della stampa molti giornali chiuderanno, perché gli investitori pubblicitari non vogliono comprare spazi su pagine che nessuno legge.

Forse si sono accorti che anche la nuova frontiera del web, digerita a fatica dai giornalisti della carta, che ancora oggi contribuiscono poco all’online e su base volontaria nella maggior parte dei casi, toglie ricavi dalla carta e non ne offre equivalenti online, ma anche i lettori e il tempo passato sulle pagine online non cresce più o cala. Gli ultimi dati Nielsen mostrano cali a due cifre sulle pagine viste, metrica che rappresenta i ricavi dai banner, per tutti i principali giornali online. Perché? Perché la gente online passa sempre più tempo sui social network, su Facebook, su Twitter, sui blog, su Tumblr, su Pinterest. Il tempo è limitato, come l’attenzione, e i contenuti prodotti dai giornalisti professionisti ne attraggono proporzionalmente sempre meno e presto meno anche in valore assoluto, vista la crescita esponenziale del social web.

Come si argina questo fenomeno? Come si contrasta se si può contrastare? Dire che quelli sono citizen dentist da cui nessuno vorrebbe farsi curare non risolve la situazione. Nella crescita esponenziale di contenuti, mediamente scadente, la quantità di contenuti di qualità, pubblicati da gente che lo fa senza ritorni economici (come il sottoscritto a scrivere questo post), è destinata a salire e non si ferma. I lettori li preferiscono, perché ci si riconoscono, li considerano un messaggio da pari a pari, affidabile. Non lo dico io, lo dice Nielsen, PEW e altri ricercatori.

Abbracciare questo fenomeno, includendolo nel processo di produzione della notizia, con regole, verifiche, controlli è l’unica via. CNN, colosso dell’informazione, lo ha capito da tempo con iReport. Il Guardian è tra i giornali di carta che lo sfrutta da tempo con Comment is free, la sezione di opinioni e blog che finisce sulla carta. I casi sono decine e decine in tutto il mondo. Repubblica.it non è la prima, anzi, ma si inserisce nel solco giusto, quello del coinvolgimento regolamentato e incentivato.

L’alternativa, arroccarsi nella difesa dei diritti conquistati, quando il fortino si sgretola e i lettori sono già scappati, a che serve? Serve a prolungare la vita per andare in pensione, per chi ci è vicino, ma per gli altri? Non serve a nulla. Nulla! Triste che in questa mancanza di comprensione del fenomeno siano inclusi molti giovani professionisti che dovrebbero essere i primi a capire e a sapere che l’aria è cambiata, che non si torna indietro. No, si vorrebbe un mondo che non c’è più e si dice no a iniziative che vogliono provare a cambiare rotta, senza certo rivoluzioni.

Quanto sopra è semplice buon senso applicato ad una analisi oggettiva della realtà internazionale, prima ancora che nazionale. Sulla qualità indiscussa del giornalismo professionista tralascio, perché su queste pagine ho citato, anche nelle settimane scorse, casi su casi di approssimazione, incuria, ignoranza, senza alcun filtro redazionale o filtro editoriale a tutela del lettore. Non parteggio per nessuno, provo a guardare la realtà per quello che è.

Il declino del paese si misura anche su questo dibattito purtroppo.

Magra consolazione: al Festival del Giornalismo di Perugia, in arrivo dal 25 al 29 Aprile, ci sarà modo di confrontarsi di persona su questi temi e possibilmente fare qualche passo avanti.

Published in Formazione permanente Media & Social media

17 Comments

  1. Il guardian paga? La CNN paga i contenuti caricati? Per quanto mi riguarda il citizen journalism è quello che stai facendo tu e che fanno tutti i blogger che di loro spontanea iniziativa. Quello che ha proposto repubblica è un ibrido molto pericoloso e poco “citizen”. Si tratta dei citizen journalist “pro” pagati però come un “rookie” che più “rookie” non si può. L’open journalism proposto all’estero è collaborativo, ma non prevede remunerazione, non vuole far concorrenza ai professionisti. Credo sia questo il motivo per cui sia montata la polemica di Repubblica. Il citizen journalism è giornalismo partecipativo, infatti il Guardian vuole un confronto con i propri lettori, non gli vuole dare 5 10 15 euro per produrre contenuti. Non credo sia “retrogrado” il pensiero dei critici, quanto più sia “poco chiaro” quello messo in atto da Repubblica. Cosa vogliono? Formare? Creare contenuti? Rendere partecipe? Dare lavoro? Io qui lo ripeto, è stato un grosso errore di comunicazione a creare il patatatrac.

  2. Giacomo aridaje la proposta di Repubblica è molto innovativa a mio avviso perché è partecipazione, possibilità x alcuni di formazione, possibilità per altri di piazzare a pagamento i propri video e farsi notare (in un mondo dove le scuole infilano i propri allievi direttamente nelle redazioni grazie agli stage, qui viene data una possibilità a chi altre possibilità non le ha) … il flame è nato da quei benedettissimi 5 euro lordi… Cos’è che vi disturba così tanto? 

  3. Vabbè arianna per te è innovativa, per me è poco chiara perchè crea un ibrido che nella confusione del mondo del lavoro precario proprio non serviva. Poi ripeto si citano tanto the guardian e CNN ma nessuno dei sopra citati ha trasformato (giustamente) il citizen journalism in un lavoro. Per concludere, non dobbiamo essere per forza d’accordo. Alla fine il conflitto crea progresso. Se fossimo tutti con la stessa idea sai che palle. 😛 g

  4. peccato che The Guardian sta per fare formazione a pagamento 😀

  5. non si tratta di essere d’accordo o meno. è che io ho ragione tutto qui (:D)

  6. “offering training in digital journalism at a cost of £9,000 a head in 2013 at the earliest.”

    9000pound??? Poco “open”, certo interessante. Quindi la salvezza dell’informazione è di far pagare chi vuole diventare giornalista? Ma poi ce li fanno diventare? A roma è pieno di corsi di Teatro. Peccato che a teatro non ci va nessuno. E chi ci trovi ai corsi di teatro? Chi non riesce a fare teatro. (Ciccò, oramai c’ho preso gusto a discutere. Se fossimo al tempo dei Greci staremmo intere giornate sulle colline ateniesi a discutere, interrotti solo dal pranzo e dalla cena. Altro che citizen journalism, i filosofi avevano capito tutto, e peraltro erano anche “mantenuti” dalla società!) 

  7. Anonimo Anonimo

    I commenti che ho letto io andavano in un’altra direzione e la risposta del Cdr di Repubblica pure, almeno per come l’ho capita io. Rispetto il tuo punto di vista Giacomo, che pone la questione in altri termini. Rimossi i cinque euro abbiamo però la stessa visione o sbaglio?

  8. appunto il corso di repubblica a quanto ho capito è gratuito pensa te… buuuuuuuuuu

  9. cmq non hai capito niente di quello che sta succedendo nel mondo del giornalismo. parli di salvezza dell’informazione a sproposito mi dispiace sei bocciato

  10. Fa sorridere l’assunto che il giornalismo di qualità venga solo da determinati canali. Per carità, non si nasce imparati, ma l’assunzione puzza di corporativismo spinto.

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