Qualche settimana fa ho ricevuto un invito per Ello, il nuovo social network pensato per essere senza pubblicità e sul non sfruttamento dei dati personali degli utenti. Mi sono iscritto e, provato il sistema, il profilo è rimasto non aggiornato. Un altro passo indietro: a fine 2013 ho deciso di cancellare definitivamente il mio profilo personale su Facebook, dopo oltre 6 anni di attività e relazioni. Dal primo gennaio ho attivato un nuovo profilo, ripensando il mio rapporto con Facebook e gli amici su Facebook (solo internazionali). Salvo qualche nuova conoscenza aggiunta e qualche foto pubblicata in blocco, il profilo giace non aggiornato e la frequenza con cui lo visito è, nella migliore delle ipotesi, settimanale.
Come è potuto succedere che, da un aggiornamento costante e continuo, su più piattaforme, fino a oltre 30 aggiornamenti al giorno (record toccato al tempo di FriendFeed), oggi non abbia più alcuno stimolo a condividere nulla online pubblicamente, se non sui miei blog e in qualche caso su Twitter? La risposta sta nella valutazione dell’effetto di tutto ciò, prima e dopo. Provo a ordinare alcuni pensieri in questo senso.
Essere immersi nel flusso genera dipendenza
Non è la prima volta che lo scrivo (zuccherino, ricordi?), ma più passa il tempo e più ne sono convinto. Nel momento in cui un comportamento è indotto e automatico, seppur apparentemente possa essere considerato sano, dal mio punto di vista non lo è. Le abitudini che non ci aiutano a crescere o che non generano effetti positivi, sono abitudini da perdere. Tra queste senz’altro ci sono: controllare il telefono ogni 5 minuti, tornare a casa e accendere la televisione, controllare la posta o Twitter/Facebook appena svegli direttamente a letto, tenere una scheda del browser aperta su Facebook/ultime news e darci una occhiata ogni ora o più spesso.
Ingenuamente uno può domandarsi: che male può farmi dare un’occhiatina a Facebook/ultime news ogni tanto, o portarmi a letto il tablet, o controllare le notifiche del telefono o tenere accesa la tv mentre mangio? Il nostro cervello non è multitasking e l’atto di spostare l’attenzione da un’attività a un’altra consuma energia, in senso fisico e mentale (vedi The Organized mind). Farsi continuamente distrarre riduce le nostre capacità di concentrazione e il prezzo si paga quando la necessità di maggiore forza di volontà è richiesta dalle circostanze, generando a sua volta comportamenti non salutari (fumare per rilassarsi, mangiare per non pensare, incedere in cibi non salutari, non essere capaci di resistere alle tentazioni che si presentano).
Nel momento in cui esci dal flusso, l’immediata sensazione è simile a una crisi di astinenza. Vorresti cliccare per ottenere soddisfazione scoprendo un nuovo mi piace a qualcosa che hai scritto, un nuovo commento, un nuovo messaggio, una nuova notizia, un visitatore in più nelle statistiche del tuo sito, una notifica di qualcosa di nuovo successo nell’ultimo minuto. Senza notifiche, senza news, senza social network attivi, questa ricompensa viene meno. Passato qualche tempo, il vuoto si riempe di nuovo, questa volta con nuove abitudini, che liberano tempo per attività prima messe in secondo piano: leggere più libri, passare tempo a selezionare alimenti e cucinare, camminate e attività fisica o poter dedicare tempo ad attività con un ritorno non immediato ma di maggior valore (studiare una lingua, fare un corso online, viaggiare).
Si può rimanere nel circolo dell’informazione continua, delle notifiche in tempo reale, degli aggiornamenti continui dei social network, con moderazione e senza esserne travolti? A mio avviso la risposta è no e, a dirla tutta, si può serenamente vivere senza. C’è un prezzo da pagare, certo, ma pensando il tutto, a mio avviso ne vale la pena.
Se condividere è umano, perché online dovrebbe essere diverso?
L’atto del condividere è qualcosa di naturale. Non lo contesto. Ciò che può essere diverso è il come e il quando. La mia opinione sul tema è evoluta nel tempo. Dall’abbraccio entusiasta di ogni nuovo strumento, con una condivisione altrettanto entusiasta di link, notizie, commenti, vita privata, momenti, immagini e altro, sono passato (o tornato) alla condivisione personale e privata. L’unico strumento pubblico, seppur molto ridimensionato, resta Twitter, per l’essenza di piattaforma volta al tempo reale, soprattutto per eventi in diretta. Per il resto preferisco chat, email e Pocket. Pocket è lo strumento ideale per me per condividere singoli articoli di valore con persone che, rispetto al contenuto dell’articolo stesso, so poter essere interessate. Ciò ovviamente implica che io conosca queste persone e queste persone mi manifestino il loro apprezzamento, prima o poi. L’effetto generato è molto più appagante di un anonimo retweet o un mi piace su Facebook.
Il networking implica scambio
A questo punto potresti pensare che mi sia successo qualcosa. Come può Luca Conti rinnegare anni di networking, online e offline, libri scritti sull’argomento e tutto quanto in mezzo? Luca Conti non rinnega niente, tanto da suggerire un ottimo libro in argomento: Due gradi e mezzo di separazione di Domitilla Ferrari.
Nel momento in cui il networking è sbilanciato e chi riceve non partecipa, dovremmo parlare di broadcasting e non di networking. L’evoluzione delle piattaforme, l’aumento degli utenti e l’arrivo in massa online del pubblico televisivo (le patate da divano, come le chiamano gli anglosassoni) ha generato una esplosione di contenuti prodotti. La conseguenza? Dei migliaia di fan, follower a vario titoli, chi veramente è esposto al contenuto condiviso è solo una frazione dei primi e chi interagisce è una frazione della frazione.
I due temi di cui sopra sono poi legati a doppio filo. Le piattaforme premiano gli utenti più attivi, favorendo la visibilità dei loro contenuti: più contenuti produci, più interazioni generi, più visitatori attrai, più zuccherini ricevi. Lo stesso vale nel senso opposto: meno partecipi, meno produci, meno sei visibile, meno interesse attrai, meno zuccherini ti meriti. Nell’illusione che lo zuccherino sia soddisfazione reale e a lungo termine, molti utenti salgono sulla ruota del criceto e corrono sempre più veloci, perché restare al passo richiede di aumentare progressivamente la velocità.
A un certo punto ho deciso di scendere da questa ruota, perché ho percepito – parlo per me ovviamente – che l’energia generata dalla ruota era più un vantaggio per le piattaforme che per il sottoscritto, sia sul piano professionale, sia sul piano personale.
Per altri, come Cristiano, i pro sono pià dei contro. Ognuno trova l’equilibrio che lo soddisfa.