Non sono il solo che si domanda, sconcertato, perché il calcolo della diffusione del Coronavirus, emergenza classificata come pandemia dall’OMS, non segua delle linee guida uniformi a livello globale (magari europeo, almeno?), ma sia lasciato alle politiche dei singoli paesi.
El Pais si pone questa domanda e segnala come Spagna, Italia, Germania, Regno Unito e Olanda seguano ognuno una propria modalità di classificare casi e morti.
La domanda rimane aperta e senza risposta. L’ipotesi che faccio io è i criteri di calcolo sono diversi non certo per complotti, ma per difficoltà a fare i tamponi, alla carenza del personale sanitario, a quanta gravità si voglia dare alla pandemia di COVID-19 a livello politico.
Una conseguenza del fatto che la politica guida la scienza e non viceversa. Nel bene e nel male.
Poi sarebbe interessante sapere, giusto per consapevolezza, quali sono i criteri di classificazione adottati da tutti i paesi più rilevanti, in termini di popolazione. Giusto per capire di quale ordine di grandezza dobbiamo moltiplicare i casi reali per avere un’idea del fenomeno. L’unica cosa che possiamo fare al momento è prendere per buono il dato del 1,4% di tasso di mortalità del virus: considerando che il tasso attuale, a 735.000 contagi, è pari al 4,7%, significa che i contagi reali sono almeno il triplo e qualcosa di più, più vicini a 2,5 milioni di casi.