L’Economist ha fatto i compiti, ha consultato fonti diverse, e ha raccolti alcuni dati molto interessanti sulle fonti di ricavi e di profitti di Big Tech. Tra le tante perle dell’articolo, ce n’è una che mi ha compito di più: gli app store come casinò:
In Apple’s app store, for example, games account for 70% of all revenues, according to documents uncovered during the Epic court battle. Most of this comes from in-app purchases, such as wacky accessories for avatars or virtual currencies. In 2017, 6% of app-store game customers accounted for 88% of the store’s game sales. Those heavy users spent, on average, more than $750 each year.
The Epic trial also revealed that the top 1% of Apple gamers in terms of spending generated 64% of sales and splurged an average of $2,694 annually. Internally these super-spenders are known as “whales”, like their casino equivalents. An investigation by the CMA found a similar pattern at Google’s app store. In 2020 around 90% of the store’s British sales came from less than 5% of its apps
The Economist
La questione dell’elevata spesa da parte di una piccola percentuale di giocatori su iPad e iPhone solleva interrogativi importanti sulla consapevolezza e sulla responsabilità etica delle aziende che promuovono questo modello di business. Se l’1% degli utenti arriva a spendere oltre 2500 € all’anno ciascuno, è lecito domandarsi quanti di questi acquisti siano effettuati con piena cognizione di causa e quanti invece siano frutto di meccanismi psicologici che incentivano il consumo impulsivo.
Molti giochi mobile adottano strategie sofisticate per incoraggiare gli utenti a spendere sempre di più, sfruttando sistemi di reward, offerte temporanee e algoritmi che stimolano l’azione immediata. È raro che il giocatore percepisca chiaramente la somma totale che sta investendo, poiché i pagamenti sono spesso frazionati in microtransazioni che sembrano trascurabili singolarmente ma, nel tempo, possono raggiungere cifre considerevoli.
A questo punto, emerge una domanda fondamentale: le aziende che sviluppano e distribuiscono questi giochi hanno una responsabilità etica nel gestire tali dinamiche? Da un punto di vista legale, tutto avviene nella massima trasparenza—almeno sulla carta. Le regole imposte dagli app store, con particolare riferimento alle politiche di acquisti in-app, dovrebbero garantire un minimo di tutela per i consumatori. Eppure, se queste informazioni non fossero state rese pubbliche a seguito di dispute legali, probabilmente oggi non sapremmo nemmeno l’entità di questa spesa.
La similitudine con i casinò è immediata e preoccupante. Entrambi i modelli si basano su meccanismi che spingono gli utenti a investire denaro con la promessa di una ricompensa—sia essa un oggetto virtuale o una vincita monetaria. Tuttavia, i casinò sono sottoposti a rigide regolamentazioni, sia per la tutela dei giocatori che per la trasparenza del settore. Esistono limiti, controlli, normative sulla pubblicità e programmi di supporto per chi sviluppa comportamenti compulsivi. Nel caso dei giochi mobile, invece, gli stessi meccanismi vengono applicati senza un controllo equivalente.
Il gioco online e gli app store, quindi, godono di una libertà di operare ben diversa rispetto al settore del gambling regolamentato. Il mercato delle microtransazioni è cresciuto enormemente, proprio perché sfrutta un insieme di leve psicologiche efficaci nel massimizzare il coinvolgimento e la spesa degli utenti. Se questo modello continuerà a proliferare senza una regolamentazione adeguata, si corre il rischio di trasformare le app di intrattenimento in sistemi sempre più simili al gioco d’azzardo, con conseguenze finanziarie significative per gli utenti meno consapevoli.
Il problema, quindi, è più complesso di quanto sembri a prima vista. Serve una riflessione più ampia sull’impatto che queste pratiche hanno sulla società e sulla necessità di introdurre strumenti di tutela per i consumatori.